Finché c’è prosecco c’è speranza racconta di omicidi, chiacchiere, cicchetti, partite di calcio, kossovari, massaggiatrici, governanti, mati da vin…
Titolo: Finché c’è prosecco c’è speranza
Autore: Fulvio Ervas
Editore: Marcos y Marcos
PP: 301
Prezzo: 16.50
C’è qualcosa di più rilassante di un bicchiere all’osteria? Magari accompagnato da un buon cicchetto al baccalà e da qualche chiacchiera con l’oste? Poco altro.
Eppure l’ispettore Stucky avrebbe qualcosa da ridire: questa volta è proprio una bottiglia di prosecco – e che prosecco! – a mettere in difficoltà lo sbirro della penna di Fulvio Ervas.
Cison di Valmarino: flemmatico borgo delle colline del più prezioso vino del Veneto. Il corpo di quello che fu il più grande produttore di prosecco del paese, viene ritrovato sulla tomba di famiglia privo di vita. Con lui: il suo pigiama di seta, e una champagnotta da sei litri.
Un suicidio? È ciò a cui Stucky non vuole rassegnarsi. Interessatosi al caso dopo una chiacchierata avuta con il suo oste di fiducia, si decide a setacciare in lungo e in largo il perimetro del paese.
Di questa morte, l’unica beneficiaria si svela essere Celinda Salvatierra. Proveniente dalle lontane catene andine, questa misteriosa donna latina prevede di rovesciare l’economia delle colline del prosecco, ricreando un piccolo Cile di banani sullo sfondo dei tramonti del Veneto orientale. Ma non bastava una sola morte a mettere a soqquadro la tutto sommato tranquilla routine di Stucky.
Poche settimane dopo, tre colpi vengono indirizzati verso un’importante figura dell’industria cementifera della regione. Possibile due morti nel giro di così poco tempo?
Chiacchiere, cicchetti, partite di calcio, kossovari, massaggiatrici, governanti, mati da vin… il tutto: un immenso calderone nel quale il nostro ispettore persiano non saprà dove sbatter la testa.
Divertente e frizzante: le osterie, le chiacchiere di contrada si rivelano più verisimili che mai in quest’ultimo giocoso giallo del nostrano Fulvio Ervas. Poco ci vuole a scorgere tra le sue righe un non troppo velato apporto a una tematica ormai troppo conosciuta, ma troppo poco presa sul serio: il deturpamento del territorio.
«Una volta avevo orrore dei campi di sterminio, oggi provo lo stesso orrore per lo sterminio dei campi» affermava il compianto Andrea Zanzotto. E proprio di questo sentimento sono intrisi i capitoli della storia: un’apologia all’agricoltura.
Sentito e curato è, così, quell’improbabile sermone che si racconta da sé, nelle ultime pagine: «Dimenticheremo l’odore del letame, il colore della zucca, il sangue del maiale. Nessuno incontrerà più la linea delle nebbie, dove perdersi in fantasticherie».
La verità, camuffata dai loschi affari del guadagno, da quel quel macigno ch’è la crescita economica pronta a tutto pur di sopravvivere, è mediata da una figura sempre amata e famigliare: il matto.
È infatti al matto del paese che l’autore affida l’arduo compito di raccontare, tra un capitolo e l’altro, gli intrighi e le bellezze della semplicità della vita del paese. Una vox populi raccontata in un parlar italo-veneto, dalla quale prende forma una piccola Spoon River padana – dolce e amara allo stesso tempo.
Ricco di sentimento, come di speranza, è appunto nella fine che l’inusuale e forse fuorviante titolo rivela tutto il suo significato: finché c’è prosecco c’è speranza.
E l’agricoltura, la terra, le tradizioni possono ancora trovare un loro posto, nonostante gli avvoltoi del consumismo.
Salute!