Il suo amico è lì davanti sul lungomare: quando il nodo alla gola diventa più forte, anche Dante apre lo sportello e lo raggiunge.
Ci sono ancora degli ombrelloni aperti sulla spiaggia, nonostante il sole sia quasi calato. Il mare riempie l’aria di profumi che Fonda manda nei polmoni con un grosso respiro. È come se riprendesse soltanto ora a far circolare ossigeno: fino a quel momento la rabbia e la paura gli hanno tappato le vie respiratorie in sottili fessure adatte ad inalare lo stretto necessario d’aria, per dare una benzina concentrata al motore scattante ed eccitato del suo corpo.
Una vecchia Kadett nera, con i cerchi in lega e il lunotto oscurato, passa lenta. Ci sono due tizi nell’abitacolo. Si guardano attorno. Il tipo al volante fissa Rico, poi si volta verso l’amico che si avvicina al parabrezza. Parcheggiano lentamente e scendono senza chiudere l’auto.
«Rico… ci hanno seguiti» gli sibila Fonda.
«Non lo so… che cazzo… » risponde tra i denti.
Prima di mettere piede sul marciapiede uno dei due si guarda attorno, mentre l’altro torna in macchina a recuperare qualcosa dal cruscotto. Fonda stringe il pugno su un accendino che ha in tasca. Il tizio che era al volante si avvicina, guardando Rico per troppo tempo. La cinta marrone è stretta attorno alla vita magra e si intravedono i calzini da tennis. Il cuore di Dante ha ripreso a battere forte e dell’odore salmastro del mare ha soltanto un flebile ricordo: può sentire i centri nervosi in elettrolisi che gli ridanno energia e agilità. Tiene lo sguardo basso. Il tizio, però, gli passa accanto e va a salutare due balene sedute cavalcioni sul muretto dietro di loro. Quelle mettono le mani in un sacchetto trasparente e unto di patatine e quando il tamarro le urla dietro fanno un salto.
Dante molla la presa sull’accendino e manda uno sguardo all’amico.