«Non è che vuoi bere qualcosa?» Fa cacciando una nuvola di fumo. «Ti faccio un aperitivo?»
«Sono apposto Teresa, vado in camera di Ri… di Cristiano.»
Quella gli fa un cenno con la testa e torna a concentrarsi sul giornale, rigirando il bicchiere nella mano. Ha le tette che le escono fuori, si sporge sul tavolo e le due bocce le penzolano praticamente allo scoperto. La cintura attorno alla vita è allentata e lo spacco le arriva fino alle mutandine bianche.
La porta della camera di Tabita è chiusa e Dante non sente rumori. Sta impalato lì davanti con l’orecchio teso, ma con tutto il casino che arriva dalla cucina sarebbe difficile sentire anche un bulldozer alle spalle. Prosegue in camera di Rico, trova la porta socchiusa e ci entra. Un foglietto sulla scrivania, un tavolaccio poco più spesso del compensato su due cavalletti da lavoro, gli dice di mettersi comodo, è sotto la doccia.
Dante osserva i due letti. Quello sistemato deve essere del suo compare. L’ammasso di lenzuola dall’altra parte, invece, ha l’aria di essere il giaciglio di Rob: è arrotolato in un cumulo puzzolente che lascia scoperto il materasso, altrettanto sudicio. Sulle pareti marrò, dalla sua parte, c’è un poster di Micheal Jordan appeso ad un canestro e uno di Tupac che si sta infilando, o s’è appena sfilato, una maglietta con sullo sfondo uno stuolo di sgnappere in costumini succinti. È rimasta l’incorniciatura di due quadri e, ad un chiodo, una medaglia pende accanto ad un crocifisso.
Dalla finestra aperta si vedono i lampioni accendersi e i pini che si piegano al vento.