«Ehii Riiico» gli fa con la voce cavernosa di fumo, cacciando una MS dal pacchetto per ficcarsela in bocca. «Hai finito di lavorare? Tutto apposto?»
«Ma’» la saluta quello.
«Ciao Rico» e lo guarda orgogliosa, rigirando il bicchere tra le mani.
«Franco… sì tutto ok… a cosa dobbiamo l’onore» gli dice con la voce beffarda, ma dubita che il baffone abbia capito il doppio senso.
«Ho staccato anch’io e tua madre mi aveva detto che ha avuto un problema con la cucina, ce l’ho uguale, sono difettosi i fornelli, il fornello centrale è difettoso» spiega lanciando occhiate nel cucinino e toccandosi i baffi. I palmi delle mani sembrano puliti, ma sotto le unghie e nelle scanalature della pelle il grasso ha messo casa da un pezzo. «Qua stavo dicendo a tua madre che le cose stanno male in questa zona, mi hanno mandato la Finanza.»
«Addirittura, come mai?»
«Un coglione che voleva la ricevuta, un vecchio delle case più avanti. Come se non lo sanno tutti che sto a nero e mi manda la Finanza» sbraita guardando Rico negli occhi. «Meno male che non stavo lavorando, che non c’avevo macchine quando sono venuti per il controllo. Ho detto che mi limitavo a fare qualche lavoretto, così, per i conoscenti… ma devo stare chiuso o fare qualche lavoro con la serranda abbassata. Come fai a stare fermo senza lavorare?»
«Nessuno che si faccia mai i cazzi suoi, qui» bisbiglia Rico. «Ci vediamo Franco, mi do una sistemata.»
«Vai vai, ci vedia…» e prima che finisca la frase sbotta in una tosse catarrosa.
*Bussa alla porta di Tabita, ma non risponde. È qualche giorno che non vede la sorella. Apre la porta, ma la stanza è vuota.
Prende il telefono e prima di posarlo sul tavolo apre i messaggi. Dante gli parla di un affare che può fruttare con delle casse di vino da piazzare a dei ristoranti. Entra in camera e guarda le coperte arrotolate dalla parte di Rob. Lo sguardo gli vola alla vecchia foto in cui sono tutti e tre: Rob lui e suo padre.
Con quell’espressione malefica da ragazzino dispettoso, il torturatore di lucertole e quello che per primo menava le mani quando qualche moccioso cercava di fotterlo. Non si lasciava scappare l’occasione di fare l’occhio nero a qualcuno. Con il tempo, poi, quella tendenza era diventata un modo di stare con gli altri e nonostante dal suo vecchio avesse ereditato un fisico magro e gracile, era il tipo magro ma tutto nervi, il primo a buttarsi nella mischia e per Rico, quand’erano ragazzini, nella mischia aveva fatto l’abitudine a starci. L’eroina, poi, con il tempo gli aveva mangiato le forze e quella spavalderia che gli era rimasta non l’aveva aiutato quando nel momento di menare le mani, dopo qualche colpo ben assestato, era fuori gioco, finendo inevitabilmente per prenderle. Soltanto l’amicizia con qualche prendipugni più pericoloso di lui gli dava carta bianca in certe situazioni. Ma il Rob teso e nervoso che poteva stenderti anche solo con un’occhiata aveva perso quell’agilità che solo la vita nei palazzoni poteva tenergli viva. L’eroina aveva preso il posto del sangue che in qualche secondo dalla testa passava alle braccia e alle gambe per trovare la combinazione perfetta per far tacere qualcuno con la lingua troppo lunga. Ora, anche solo uno scatto per allungare la mano in una carezza gli avrebbe fatto venire il fiatone. Ma di questo Rico non è sicuro, non lo vede da tanto di quel tempo.