«In quale ala del castello li ricevi gli ospiti?» Domanda Rico. «Spero non qui, scapperebbero per la puzza.»
«Venite, venite» dice il tizio voltandosi di spalle e sparendo in una stanza in fondo al corridoio. «Cosa vi serve?»
«Qualcosa per una bella spada ce l’hai?»
«Quello non manca mai, lo sanno tutti» dice lo stronzetto allegro.
Leo siede su una poltrona in pelle marrò, graffiata e sudicia, e si sporge sul tavolino, dove c’è un bilancino e un mazzetto di polvere raggruppata in un pezzo di busta di plastica. Prima di aprire gli incartamenti s’è infilato un basco verde, con la corda che gli pende sotto il mento.

«Se vi serve coca ho anche quella» dice tirando su con il naso. «E un po’ d’erba forse. Devo vedere per l’erba.»
«Quanto tiri al mese?» gli chiede Rico guardandolo negli occhi.
Fonda si sporge sulla punta del cuscino.
«Quello che basta e quello che mi serve» gli risponde Leo di botto.
«E se non ti basta e con la merda che vendi devi farci più soldi, come fai?» lo incalza. «Ci metti dentro qualche additivo, no?»
«Ehi non dire cazzate, io non ne faccio di mischiamenti, tutta roba pura quella mando in giro io è, non mettere in giro… ma che cazzo vuoi… che cazzo… senti… ti serv… »
Ma a quel punto Rico gli è addosso.
«… chi cazzo sie… sbirri di mer…» cerca di bofonchiare, ma la mano che ha sul collo non gli permette di urlare, mentre l’altra gli chiude la bocca.
Lo sbatte con violenza sulla poltrona, gli toglie la mano dalla fessura sottile e gli dice di tacere, portando l’indice sulle labbra.