Forbidden World, la recensione di Massimo Zammataro: mostri, sangue e donne nude in un piatto cucinato da Roger Corman, l’indiscusso Re dei B-movies.

Lasciamo decantare lo stordimento estatico, quasi una Sindrome di Stendhal dei poveri, delle prime puntate nel magico e rutilante mondo della Asylum, e prendiamoci una pausa volgendo per un istante lo sguardo agli anni ’80, glorioso decennio in cui anche i film “importanti” potevano sembrare dei B-movies.

Per usare un esempio fatto la scorsa volta: ma secondo voi, scettici snob del mainstream, i film di Chuck Norris sfornati in serie tra il 1984 ed il 1990 (trilogia di Missing in Action, Delta Force 1-2 o Invasion U.S.A., per citare i più rappresentativi) possono considerarsi film di serie A? La risposta è in re ipsa. Fatta questa dovuta premessa, con l’entusiasmo di chi sta per ricevere una rettoscopia accingiamoci a questa succulenta prelibatezza rappresentata da Forbidden World. Produce il Sig. Roger Corman.

Ai confini dell’universo, su un pianeta lontano lontano, in una base di ricerca genetica degli scienziati giocano col DNA e creano il Soggetto 20, una forma di vita destinata a risolvere il problema della fame nella galassia. Altro che i semi OGM della Monsanto…  Inutile dire che la forma di vita muta rapidamente e, sfuggita al controllo, si aggira per la base mietendo prima gli animali da laboratorio, per passare poi ai cristiani.

Per investigare sulla vicenda viene mandato uno specialista in problemi, accompagnato dal suo droide (negli anni ’80 non potevi andare in giro per la galassia senza avere un robot al tuo fianco) alle cui sembianze non possono non essersi ispirati i Daft Punk per il loro costume. Il Soggetto 20, che inizialmente si presenta come una massa informe, una specie di blob color della pece, si evolve da questa forma originaria assimilando il DNA umano delle sue vittime: durante il pranzo, la creatura riduce i corpi dei malcapitati ad una gelatina proteica di cui si ciba e che ne favorisce lo sviluppo. Insomma, una specie di Plasmon per bimbo-mostri.

Dopo una mattanza di scienziati, alla fine lo “specialista in problemi” si troverà ad affrontare il Soggetto 20 che, nel frattempo, è diventato un mostrone: non sarà, tuttavia, il nostro eroe ad ucciderlo, bensì… (colpo di genio?) le cellule cancerogene ingerite ciucciando il corpo di un ricercatore. Nel 1982 era ancora viva l’eco di Alien di Ridley Scott ed era appena uscito La Cosa di Carpenter. Roger Corman, prolifico ed esperto produttore di film a basso costo, nonché scopritore di futuri talenti registici, (ma non è questo il caso) non sbagliava quasi mai un colpo: decise, quindi, che non si poteva perdere l’occasione di sfruttare la scia di successo di quelle due pellicole.

Ecco quindi Forbidden World, (aka Mutant aka Subject 20), crossover spaziale tra Alien e La Cosa, il quale, costato appena un milione di dollari (i budget dell’Asylum di oggi, tanto per fare le dovute proporzioni), si è meritato la fama di cult della fantascienza horror di serie B.  Infatti, il film – pur pesantemente in debito con i due citati numi ispiratori – riesce a mescolare gli aspetti più orrorifici delle due pellicole in una amalgama di mostri ridicoli, sangue e schifezze, che sono una gioia per gli occhi di chi ama il gore un tanto al chilo. Il comparto FX è, ovviamente, quello che poteva essere in assenza di CGI e di denaro (e non deve per forza essere un punto debole), ma il tripudio di frattaglie è adeguato. Stendere un velo pietoso sul festival delle brutte sovra-impressioni e fondalini a go go, è un atto misericordioso.

Sublimamente ridicolo è, inoltre, il Soggetto 20 nel pieno del suo sviluppo: non potendo copiare l’alieno di Giger, Corman si inventa una creatura di gomma che ricorda senza dubbio lo xenomorfo (soprattutto il testone oblungo con bocca dotata di lunghi ed affilatissimi denti), ma che alla fine risulta più una specie di ragno ciccione le cui zampe adunche si muovono con i fili (aah, che ricordi, le piovre finte di Ed Wood!). E poi, qualcuno nel reparto sceneggiatura si deve essere chiesto: perché, nei tempi morti della mattanza, non farsi una bella scopata spaziale? Ed ecco che il film si distingue anche per la quantità di femmine nude e di ammiccanti scene di sesso, tra cui una lesbo-doccia, assolutamente non necessarie alla storia ma indispensabili per allungare il metraggio e, probabilmente, come richiamo per teenagers con le vesciche alle mani.

Tra personaggi e situazioni improbabili (memorabile la scienziata bonazza ed ignuda che nella sauna indossa gli occhiali da sole), dialoghi impossibili ed una regia approssimativa, Forbidden World, lontano mille miglia dalle atmosfere tese e cupe di Alien e La Cosa, conserva tuttavia quell’aria malsana propria dei B-movie che fa quasi passare in secondo piano tutto il resto. FW regala, comunque, momenti indimenticabili di divertimento, e si merita il titolo di Cult conquistato sul campo. A testimoniarlo, ci sono quattro milioni di dollari di incasso al botteghino. Peggio di Alien ma meglio di Prometheus. Da recuperare, assolutamente.

P.S.

A proposito di Prometheus, ho notato una strana analogia tra quella cosa nera e vischiosa da cui nascerebbe Alien e la forma embrionale del Soggetto 2.0… Sarà un caso? Mah!