Don Winslow è certamente uno dei nomi, a proposito di crime fiction, che negli ultimi anni ha letteralmente sbancato in Italia.

Titoli come “Il potere del cane”, “L’inverno di Frankie Machine”, “La lingua del fuoco” sono praticamente testi sacri per chi ama questo tipo di letteratura, sì esatto letteratura perché, nell’asfittico panorama editoriale italiano, il genere sta rinnovando la letteratura come poche altre cose.

Testi sacri, dicevamo, perché si tratta di romanzi dal respiro epico e spietato, pieni zeppi di quella grandeur magnifica che segnava certe opere, le migliori, di James Ellroy, con intrecci magistrali in cui si mescolano le vite di decine e decine di personaggi tutti profondamente tratteggiati e resi in maniera credibile e efficacissima.

Fra belve e re del mondo, fra libri e cinema (Don Winslow)Il tutto sostenuto da una struttura narrativa a prova di bomba, da una scrittura ficcante, da scene d’azione spudoratamente cinematografiche, da atmosfere magnetiche e seducenti, spesso ammantate dal carnale splendore della West Coast californiana, quella della parte più a Sud, ai confini con il Messico.

Ciò premesso, va detto che la recente doppia uscita di “Le belve” e “I re del mondo”, da leggere nell’ordine inverso essendo il secondo il prequel del primo, propongono un Winslow per certi aspetti inedito, o forse dovremmo dire, esasperato, stylish, quasi estetico.

Perché, a prescindere dalle valutazioni di contenuto, la sensazione è che l’autore americano si diverta a giocare con certi suoi vezzi, che rappresentano il suo marchio di fabbrica – gli “a capo” ribaditi, la prosa spezzata, i capitoli da una riga, i giochi di parole, le definizioni del vocabolario per certe parole – indugiando a tratti anche troppo in questo suo stile. Insomma, questo continuo strizzare l’occhio al lettore, a volte, va a tutto svantaggio della ricchezza di scrittura.

E in effetti “Le belve” è un romanzo che ancora una volta propone un’idea davvero forte: due amici, Ben e Chon, con caratteri opposti che coltivano la miglior marjuana al mondo condividendo la stessa splendida ragazza, Ophelia detta O, in un menage a trois che disegna una vita perfetta in quel di Laguna Beach, California. Se non fosse per un cartello di narcos che decide di proporre e poi pretendere una fetta della torta.

Fra belve e re del mondo, fra libri e cinema (Don Winslow)Insomma Winslow, come al solito, propone una struttura forte, monta sequenze adrenaliniche e infarcisce tutto con un gusto pulp – noir che non può non piacere a gente come noi eppure… eppure manca qualcosa. Perché, al di là di tutto, si fa fatica a empatizzare con i personaggi, che scontano una certa bidimensionalità, niente a che vedere con un character epico e bigger than life come Art Keller o lo stesso Frankie Macchianno, vi ricordate? Perché, almeno un po’, Ben, Chon e O suonano stereotipati e tirati via, talmente fichi da risultare falsi o perlomeno poco credibili. La sensazione è di avere una storia scintillante ma, rispetto alla quale, manca un po’ la sostanza. In “I re del mondo” la sensazione, ve detto, è ancora più forte.

E, in effetti, quella sensazione si acuisce una volta che vai in sala a vedere “Le Belve”.

Il film di Oliver Stone è, tecnicamente parlando, una meraviglia. Il regista americano tira fuori una pellicola luccicante, con ritmo potente, inquadrature incredibili, una fotografia coloratissima e filtrata acida che ricorda molto “Natural Born Killers” o alcuni dei migliori lavori di Tony Scott – “Man on Fire” su tutti – oltre a proporre paesaggi mozzafiato e scene action spaziali con sequenze da grandguignol che ci mancavano da un po’. Insomma, il film è buono sia chiaro, anzi a volte hai la sensazione che la critica goda nello stroncare Stone almeno tanto quanto nel magnificare l’ultimo “Batman” di Nolan che è invece una vera porcata, almeno a giudizio dello scrivente.

Resta il fatto che i personaggi, e non parliamo di attori, che girano meglio sono quelli di Benicio del Toro (Lado, killer sanguinario), John Travolta (Dennis, agente DEA doppiogiochista), Salma Hayek (Elena, signora del cartello) mentre, proprio per una certa indulgenza nei confronti del proprio stile da parte dell’autore, Ben Chon e O non mordono come dovrebbero, non lasciano il segno, non entrano nel cuore dello spettatore.

Fra belve e re del mondo, fra libri e cinema (Don Winslow)La sensazione è che non dipenda dagli attori, Taylor Kitsch ad esempio firma una prova maiuscola, ma che sia frutto di una caratterizzazione un po’povera in sede di romanzo e sceneggiatura, oltre, aggiungiamo, ad un doppiaggio pessimo che rende il personaggio di O a tratti addirittura irritante. E qui si potrebbe aprire il tema del doppiaggio. Personalmente sono per versione originale con sottotitoli perché sentire un attore, e un autore aggiungo, recitare (e scrivere) nella propria lingua non ha prezzo!

Ma rischieremmo di andare fuori tema.

Fra belve e re del mondo, fra libri e cinema (Don Winslow)Perciò torniamo a bomba: “Le belve” è un film super-godibile, efficace, con un cast stellare, una regia spettacolare e un che di irrisolto per il fatto di somigliare tanto a un fumettone meraviglioso (cosa che personalmente adoro) senza tuttavia avere la consapevolezza e la voglia di esserlo fino in fondo ma lasciando intendere che ci sia dell’altro… che però non c’è.

Insomma, non sappiamo se Don voleva fare un romanzo pulp – che sarebbe un obiettivo fantastico e stupefacente, voglio dire, mi pare chiaro no, soprattutto considerato quello che facciamo qui – o invece proporre una crime fiction dal taglio epico e bigger than life come è nello stile dei suoi lavori migliori.

Se fosse la prima: ci sarebbe quasi riuscito, anche se una miglior caratterizzazione e una maggior autoironia non avrebbero guastato, Gischler docet. Se fosse la seconda: be’ allora avrebbe mancato il bersaglio.