Silvia Gorgi ha intervistato per Sugarpulp MAGAZINE il regista Francesco Maria Dominedò. Il suo La banda dei tre, in uscita ad Aprile sarà la sorpresa del 2018?

Nel panorama cinematografico italiano qualcosa è cambiato negli ultimi anni. Una riscoperta del “genere”, che parte paradossalmente proprio da quello più gettonato, la commedia, ma che diventa altro, cambia volto, quando si tinge di noir e di action come in Smetto quando voglio – il cui terzo e ultimo capitolo Ad honorem è passato da poco in sala – di Sydney Sibilia, prodotta dallo stesso Sibilia insieme a Matteo Rovere.

Se il film di Sibilia ha dato il la, a contribuire al cambio di rotta resta imprescindibile il lavoro di Stefano Sollima con la serie di Romanzo Criminale prima, Suburra il film, e Gomorra la serie poi, e, ancor più, con l’uscita di Soldado, la seconda parte di Sicario, grande attesa per giugno 2018, con cui il regista si apre al mercato internazionale, buttando giù a spallate un sistema cinema in Italia immobile da decenni.

Il grimaldello verso una nuova via è stato posto in maniera decisiva, senza più possibilità di ritornare indietro, dal successo incontrato da Lo chiamavano Jeeg Robot, che ha sbancato ai David di Donatello, di Gabriele Mainetti, con protagonista Claudio Santamaria e nel ruolo del cattivo Luca Marinelli.  Quel Marinelli, che insieme ad Alessandro Borghi, è stato volto simbolo di Non essere cattivo di Claudio Caligari (Mostra del Cinema di Venezia 72esima edizione); entrambi, con Santamaria, nuovi eroi del cinema nazionale, di un cinema che ha voglia di raccontare altre storie.

In questo percorso, che non può dimenticare Veloce come il vento di Matteo Rovere, Il più grande sogno di Michele Vannucci, i film dei Manetti Bros, Mine di Fabio Guaglione e Fabio Resinaro, subendo qualche battuta d’arresto, come nel caso di Brutti e cattivi di Cosimo Gomez, sempre con Santamaria protagonista, si potrebbe inserire, in questo 2018, La banda dei tre di Francesco Maria Dominedò, che uscirà nei cinema ad Aprile.

Tratto dal romanzo d’esordio dello scrittore padovano Carlo Callegari, il film rivisita le atmosfere anni settanta con un mood che riporta alla mente i poliziotteschi e gli action movie che tanto cinema contemporaneo ci invidia, e a cui lo stesso Tarantino si è abbeverato.

Una storia che è pulp, nera, ironica. Elementi che Dominedò ama, forse proprio per questo quando ha visto in vetrina nella libreria Fanucci di Roma il libro di Callegari – la cui copertina riporta illustrate le sagome nere di tre individui su una sorta di foto segnaletica che ne evidenzia le diverse altezze (uno di loro è molto molto piccolo) – e, dopo aver letto il romanzo, se ne è innamorato a tal punto, da contattare via facebook l’autore per proporgli la trasposizione cinematografica.

La banda dei tre, la storia

Una storia che stravolge i canoni classici del noir e gioca ironicamente sul filo del grottesco. Prendete un nano irascibile che di cognome fa Piccolo, dal grilletto facile e con una passione smodata per la musica pop, aggiungete un poliziotto infiltrato che di cognome fa Bambola e che non ha nemmeno il coraggio di dichiararsi alla donna di cui è innamorato, sorta di duro mascherato da pseudo criminale.

Finite poi con Silvano ex tossicodipendente in perenne crisi mistico-religiosa che per sopravvivere svaligia gli appartamenti salvo poi lasciare in giro santini per farsi perdonare. Mescolate il tutto e il risultato sarà la banda dei tre.

Tre personaggi sopra le righe, ma con un senso d’amicizia fuori dal comune.

L’intervista

Quanto hai coinvolto Callegari nelle tue scelte di sceneggiatura?

Ho un profondo rispetto nei confronti degli autori, in genere, perchè credo sia doveroso, e penso pure che non si risolva con l’acquisto dei diritti, è una sua creatura il mondo da cui parti. Certo con Carlo abbiamo instaurato anche un rapporto d’amicizia, così quando ho deciso che Silvano da secco, lungo, allampanato, com’era nel libro, diventasse una sorta di Bud Spencer buono, che ha visto la Madonna dopo un rave, ne ho parlato con Callegari, poiché per certi versi il personaggio veniva stravolto, ma per altri no, la sua essenza restava.

Anche sui dialoghi abbiamo lavorato molto, perché ci sono battute che possono funzionare scritte ma dette no, a meno che tu non voglia fare parlare i personaggi in maniera aulica. O ancora nel romanzo il primo personaggio femminile, Patrizia, parte alla novantesima pagina, mi serviva introdurlo prima sullo schermo.

La fisionomia di Bambola, il personaggio che sullo schermo verrà interpretato da un ossigenato Marco Bocci, non era delineata nel libro, come hai fatto a crearla?

Nel romanzo non veniva raccontata ed è stato necessario pensare a chi era Bambola, che tipo di passato aveva, era un sognatore? Come era finito a diventare il Bambola, poliziotto infiltrato dell’oggi?

Inserisco un flash in cui Bambola parla del suo passato, di lui piccolo Zorro, astronauta, pistolero, per arrivare a com’è oggi, capelli tinti, fuori moda, con indosso i camperos, e il fare da trasandato. Anche per Patrizia è stato importante crearle un passato, poiché finisce per invaghirsi di uno come Bambola, che non dà certezza, ma crea casini, scappa con lui, ma prima stava con un uomo che la picchiava, fa la cameriera, e i suoi sogni, a quarant’anni li ha messi via, anche se è una che va di cuore.

E chiaramente ci sono i personaggi tormentone, come le gemelle, o Gaetano, interpretato da Carlo Buccirosso (visto di recente in Ammore e malavita dei Manetti Bros).

Come sei riuscito a coinvolgere attori come Bocci, Pannofino, Buccirosso?

Beh la sceneggiatura è stata inviata alle maggiori agenzie, e mentre aspettavamo i primi riscontri, mi contatta l’agente di Bocci, che è anche quello di Raoul Bova, perché Marco voleva incontrarmi l’indomani. Diciamo che da quell’incontro è nato una sorta di colpo di fulmine, lui è si un bello, ma quando lo inquadri riempie lo schermo, ha personalità. E ha manifestato subito un grandissimo entusiasmo. Non ha avuto nessun problema, quando gli ho chiesto di tagliarsi e tingersi i capelli, di dimagrire.

Mentre Pannofino lo conoscevo, in passato gli ho fatto da spalla nel film sul processo della banda della Magliana, lui è un attore drammatico enorme. Per gli altri c’è stato il casting. E Buccirosso è stato un altro regalo incredibile, è bravissimo, preparatissimo e poi si lascia all’improvvisazione; un grandissimo gruppo di attori. Con Aldo Marinucci che interpreta Piccolo, e non è un attore, tutti sono stati accoglienti, lui impiegato in un comune vicino Roma, si è trovato catapultato sul set, con un Pannofino che spesso gli ha fatto da coach.

Callegari dominedò credits photo Jessica Gaudasio foto featured sugarpulp

Francesco Callegari e Francesco Maria Doominedò, Photo by Jessica Gaudioso.

Francesco Maria Dominedò, biografia

Nato in Francia, ma italianissimo, Francesco Dominedò si diploma alla Scuola di Teatro La Scaletta di Roma e comincia a recitare ventiquattrenne.

Entra nel mondo del cinema dapprima come comparsa nel film di Pasquale Squitieri Atto di dolore (1991) con Claudia Cardinale, Enrico Lo Verso, e, poi, nel 1993 con il ruolo di El Mosca nella pellicola di Bigas Luna Uova d’oro con Javier Bardem, Alessandro Gassman e Benicio Del Toro.

Negli anni successivi partecipa a: Trafitti da un raggio di sole (1995); Intolerance (1996); Rumori di fondo (1996); Si fa presto a dire amore… (2000); Quelle piccole cose (2002); Fatti della banda della Magliana (2005); Nazareno (2007); Cover boy – L’ultima rivoluzione (2007); Il rabdomante (2007).

Partecipa alla miniserie televisiva di Filippo De Luigi La dottoressa Giò 2 (1998) con Barbara D’Urso, Fabio Testi, a Una donna per amico 3 (2001) con Natalie Alison, e in fiction agiografiche come Gli amici di Gesù – Giuseppe di Nazareth (2000) e Padre Pio – Tra cielo e terra (2000).

Nel 2011 passa alla regia cinematografica con il poliziesco Cinque (2001) dove dirige Alessandro Borghi, Francesco Arca, Alessandro Tersigni, Rolando Ravello, Giada de Blank, Matteo Branciamore, Giorgia Wurth e Francesco Venditti in una storia di rapine, sesso e droga.