Frankenweenie
Tim Burton lo conoscete tutti, non ha bisogno di presentazioni dato che la sua carriera trentennale parla per lui.
Un regista di questo calibro e dalla notorietà planetaria deve però fare i conti con il proprio passato e mantenere una coerenza artistica che rappresenta il suo “marchio di fabbrica”.
Dalla mente di “Beetlejuice – Spiritello Porcello”, “Big Fish”, “Ed Wood”, “Mars Attacks” e molte altre perle dal gusto gotico e poetico, nasce “Frankenweenie”.
Si tratta dell’evoluzione di un cortometraggio (disponibile tra gli extra nel dvd e blu-ray di Nightmare Before Christmas) datato 1984, che costò a Burton il licenziamento dalla Disney con l’accusa di aver sperperato i soldi della compagnia.
Ventotto anni dopo, nel 2012, sarà proprio la Disney a produrre l’ultima fatica del regista di Burbank. Uno scherzo del destino e una rivincita per l’eccentrico director, non c’è che dire.
Stavolta la tecnica scelta è la “stop-motion”, tanto cara a Tim Burton (già usata in pellicole come Nightmare Before Christmas e La Sposa Cadavere), unita ad un bianco e nero evocativo e dal delizioso gusto vintage.
Protagonista è Victor Frankenstein (il primo degli innumerevoli rimandi al romanzo di Mary Shelley, di cui la pellicola è una sorta di rivisitazione in chiave moderna e semi-parodistica), un ragazzino solitario e appassionato di fantascienza (un nerd, insomma), il cui unico amico è Sparky, il suo cane, destinato ben presto ad essere investito da un’auto e ad abbandonare il suo padrone.
Distrutto dalla perdita e illuminato dagli insegnamenti del professore di scienze, il signor Rzykruski (figura che omaggia palesemente l’icona horror Vincent Price, tra i “padri spirituali” di Burton, nonché presente nel cast di Edward Mani di Forbice), Vincent decide di tentare un esperimento a prima vista impossibile: rianimare il corpo disseppellito di Sparky mediante scariche elettriche e riportarlo così nel mondo dei vivi.
Come è facile intuire, l’esperimento riesce, ma porterà con sé drammatiche ed inaspettate conseguenze.
Frankenweenie è stato per me un lieto tuffo nel passato, un ritorno al Burton che adoro, prima che perdesse parte della propria ispirazione e forza creativa a favore di un cinema mainstream ed eccessivamente (per il sottoscritto) usa e getta (specialmente Alice in Wonderland e Dark Shadows).
Le musiche di Danny Elfman, i continui appassionati omaggi alla fantascienza anni ’50 ed ai vecchi horror Universal, i protagonisti così semplici ed umanamente imperfetti, la stop-motion: tutto ciò, e non solo, ha contribuito alla riuscita di un film sentito e girato con il cuore.
Il regista ha chiuso nel migliore dei modi un immaginario cerchio aperto ventotto anni fa, dimostrando di avere ancora stoffa ed energia.
Secondo me si tratta del miglior Burton degli ultimi dieci anni (dai tempi di Big Fish), nonché di uno dei suoi film più “personali” ed intensi.