Freud, la recensione della nuova e attesissima serie Netflix che però sembra non aver convinto il nostro Matteo Marchisio.

Come riassumere la sensazione che ci assale quando si guarda qualcosa che, nonostante tutto, come dire, non è male, ma neanche tutto ‘sto gran che? Con un sospiro: meh.

Freud, almeno per la prima stagione, mette così tanta carne al fuoco che il risultato è un pastone di otto di episodi senza sapore, un mesh-up di cose già viste, pressate insieme e buttate sullo schermo forse nell’intenzione di battere i competitor della categoria crime con la forza del numero di argomenti sfiorati, più che sul dosaggio di cosa serve per dar vita a una trama convincente a partire da un background interessante.

Freud è figlia di una produzione congiunta tra un fronte tedesco-austriaco-ceco capitanato dalla ORF (una specie di RAI asburgica) e Netflix, il colosso californiano, presentata al festival di Berlino nel febbraio 2020.

Una ricostruzione impeccabile

La serie TV ruota intorno alle vicende di un giovane Sigmund Freud coinvolto in un’indagine volta a gettare luce sul mistero dietro una serie di terribili e sanguinosi omicidi avvenuti in una Vienna del 1886.

Le ambientazioni sono intriganti, a partire degli interni, in particolare lo studio del dottor Freud, così come le viuzze e gli esterni, per le riprese sono state usate largamente Vienna (quella vera) e Praga.

Un’altra nota di merito va agli abiti, in particolare divise militari dell’epoca, siamo una fase della storia europea in cui la foggia di stampo napoleonico era ancora imperante, nonostante quasi ci si affacciasse al 1900: alamari dorati, il blu e rosso degli ufficiali di cavalleria, elmi pickelhaube con creste e chiodi dorati.

Tutte cose piacevolissime, che unite al sangue e parecchie scene gore che riempiono gli occhi, puntano tutto sulla fascinazione estetica superficiale.

Non tutto funziona in questo Freud

Ma la trama di Freud soffre di tonnellate di psicologia a buon mercato che fa rabbrividire chiunque abbia sfiorato seriamente la materia, sufficienti a dare quel tocco di falsa profondità che fa credere allo spettatore medio di essere un Freud in poltrona. 

Troviamo anche tanto esoterismo, che sta sempre bene intendiamoci, complottismo facente capo ai movimenti nazionalisti ungheresi un po’ fessi, tocchi di brutta magia nera, sessualità torbida che si ferma a qualche nudo, antisemitismo in pillole e mutilazioni scopiazzate.

Il Sigmund Freud protagonista non ha nulla di storico, se non quei pochi tratti caricaturali che gli sceneggiatori hanno dovuto giocoforza appioppargli, esagerandone i vizi più comprensibili al pubblico allargato, come l’uso estensivo di cocaina per risolvere qualsiasi questione, che lo fa irrimediabilmente sembrare il papà di Il mio grosso grasso matrimonio greco che curava tutto con il Vetril.  

Questa rilettura di Freud entra nell’esercito di figure storiche destrutturate in funzione di produzioni che aspirano a raggiungere il maggior pubblico possibile tramite mix caciaroni di quanti più riferimenti si possano includere in un copione. 

Da un lato è comprensibile: la qualità generale delle serie è sempre maggiore ed è roba che va pagata con share alti, dall’altro si tratta di un sentiero scosceso a ridosso in un baratro di cacca in cui è facilissimo rotolare e restarvici impantanati.

Ma cosa esce da elementi così affascinati giocati male e un personaggio che di storico ha poco? Come detto all’inizio, un grande, solenne meh.

Un Penny Dreadful lavato a 1000° senza acchiappacolore

Freud sembra un Penny Dreadful lavato a 1000° senza acchiappacolore: non ha una tutta la carica orrorifica che fa gelare il sangue mentre Eva Green viene posseduta dal Demonio o venire i brividi quando Frankenstein prende vita, né la potenza dei suoi dialoghi che grondano Shakespeare.

Non è visivamente oscuro come La vera storia di Jack lo squartatore (From Hell), a sua volta tratto da From Hell di A. Moore. Qui siamo a Vienna e non a Londra, ma lo stile del racconto gli strizza l’occhiolino neanche tanto di nascosto.

Non schiera la complessità della trama e tutte le sfumature storiche minuziosamente disseminate della trama di l’Alienista, che sfoggia tra altro un gran bel cast.

Non trabocca neanche della brutalità di Taboo, capolavoro con Tom Hardy. Concesso, qui siamo circa un cento anni dopo, ma i colori, la puzza, l’oscurità delle viuzze di un’Europa romantica governata da grandi monarchie, attraversata da sette e circoli magici è quella lì, dai. 

A conti fatti però Freud porta lo spettatore alla fine delle puntate, perché comunque è un discreto poliziesco in costume.  

Mentre scorrono gli ultimi titoli di coda, si spera che la possibilità di una seconda stagione più ragionata, senza la fretta di dimostrare qualcosa a tutti i costi, possa dare a questa prima stagione il ruolo di grande prova generale a qualcosa di veramente potente.