Fun Home per me è stata una delusione: mi aspettavo di leggere un capolavoro e invece mi sono ritrovato con una storia riuscita a metà
Titolo: Fun Home – Una tragicommedia familiare
Autore: Alison Bechdel
Editore: Rizzoli
PP: 236
Prezzo: 18 euro
Fun Home per me è stata una gran delusione: mi aspettavo di leggere un capolavoro e invece mi sono ritrovato tra le mani una storia riuscita a metà, alla faccia degli elogi della critica (il fumetto della Bechdel è stato giudicato libro dell’anno nel 2006 dalla rivista Time).
In Fun Home la Bechdel racconta la prima parte della sua vita, gli anni dell’infanzia, dell’adolescenza e poi della giovinezza, con la scoperta della sua omosessualità e di quella del padre come fattori centrali della narrazione. Un racconto in prima persona di una famiglia che l’autrice stessa definisce fin dalle primissime pagine “strana” (ma quale famiglia non lo è?), a partire dal lavoro del padre (Fun Home è l’abbreviazione di Funeral Home).
Come dicevo Fun Home è stato incensato dalla critica e se andate a spulciare qua e là in rete troverete commenti estremamente positivi. E allora perché ho parlato di delusione? Perché credo che Fun Home sia essenzialmente un’occasione mancata, un lavoro lento, pretenzioso, autocompiaciuto.
Una storia priva di umanità, di amore (se si esclude l’ultima bellissima tavola), mancanza che ho trovato davvero fastidiosa in un’opera biografica. Il rapporto con il padre non supera mai la bidimensionalità della pagina disegnata e resta sempre di maniera. Manca completamente il pathos e la comprensione umana dell’altro.
Per non parlare poi delle continue citazioni “alte” campate in aria (quelle prese da Proust su tutte, sembrano citazioni fatte da chi ha letto la Recherche nella sezione citazioni di wikipedia). Un disperato tentativo da parte dell’autrice di voler sembrare intellettuale a tutti i costi (tentativo riuscito a vedere da quello che si legge in giro) che impasta il ritmo narrativo producendo uno scollamento pesante tra immagini e testi.
Una storia che resta algida, che non coinvolge e che dà sempre la spiacevole sensazione di essere vuota: una biografia non può puzzare così tanto di finto, di autocompiaciuto. Ci sono alcuni passaggi interessanti (bellissimo il tema del rapporto tra il padre e la casa, vero e proprio personaggio della storia), questo è innegabile, ma se paragoniamo Fun Home a capolavori assoluti come Maus, Persepolis o Blankets ecco che il palco crolla.
Questo è un classico fumetto che sta in piedi a malapena proprio perché gli viene appiccicata la dicitura Graphic Novel (sic!), dato che l’autrice non ha avuto la capacità artistica di rendere tridimensionale la sua storia, appesantendola per di più con una pretenziosità letteraria ammorbante.
Se fosse stato un romanzo sarebbe nessuno se lo sarebbe filato, ma visto che è una Graphic Novel (sic!) allora tutti ad ammirare le citazioni letterarie, il tema autobiografico, ecc. Pippe, certo, ma non dimentichiamoci che stiamo parlando degli anni in cui qualsiasi cosa che chiamata Graphic Novel dev’essere per forza Arte, Letteratura e Cultura, e questo atteggiamento nel 2006 era all’apice.
Va detto poi che il tema affrontato è di quelli molto amati da una certa intellighenzia radical chic, tema che peraltro mi pare fosse praticamente un inedito a livello di fumetto nel 2006, e credo che la cosa abbia influito non poco sul successo di critica.
Nonostante tutto Fun Home per me resta un enorme vorrei ma non posso, un fumetto che manca il bersaglio nonostante i diversi piani di lettura proposti dall’autrice (forse soprattutto per i diversi piani di lettura).