Genesis, The Musical Box: una fiaba molto pulp. Daniele Cutali ci racconta le folli liriche di Peter Gabriel voce, tamburello, flauto e travestimenti dei Genesis anni ’70.

I Genesis sono stati una delle band rock inglesi più influenti degli ultimi trent’anni. Successo mondiale con long-playing e singoli che svettavano ai primi posti delle classifiche, dal 1978 in poi. Qualche titolo? Follow You Follow Me, Turn It On Again, Abacab, Mama, Invisible Touch e così via per quanto riguarda i singoli, mentre album come Duke (1980), Abacab (1981), Genesis (1983) e Invisible Touch (1986) appunto li consacra nell’Olimpo delle popstar milionarie. Con un leader batterista-cantante che ha sviluppato una carriera solista forse ancora più di successo di quella del gruppo madre e concerti che hanno riempito gli stadi. I Genesis dal 1978 in poi sono stati quelli che tutti proprio tutti conoscono, ovvero Phil Collins alla batteria e voce, Tony Banks alle tastiere e Mike Rutherford alle chitarre e basso. Genesis, The Musical Box - Genesis Ma prima di quell’anno? I Genesis sono nati nel 1968 in un college nelle campagne del Surrey, a poche miglia da Londra, quindi cosa c’è stato prima? Gli appassionati di progressive rock lo sanno bene, perché il novanta per cento di essi adorano alla follia i Genesis del periodo 1970-1977. Anzi, a dir la verità non ho ancora conosciuto proprio nessun ascoltatore accanito di questo gran calderone qual è il prog – qualcuno si ostina a volerlo inquadrare in un genere musicale ben definito – che anche soltanto disdegni l’ascolto della band londinese di quel periodo. Oltre ai sopra citati tre musicisti, a far parte della band c’erano fino al 1974 un certo Peter Gabriel alla voce, flauto, tamburello e travestimenti; e fino al 1977 Steve Hackett, alla chitarra. Tralasciando il primo acerbo album del 1969, From Genesis To Revelation, i sette album sfornati dal 1970 al 1977 sono delle pietre miliari del progressive rock, ognuno con peculiarità diverse ma tutti ad altissimi livelli qualitativi dal punto di vista musicale e per i canoni, se un canone vogliamo trovarvi, del progressive rock. I titoli sono Trespass (1970), Nursery Cryme (1971), Foxtrot (1972), Selling England By The Pound (1973), The Lamb Lies Down On Broadway (1974). Dopo che all’inizio del ’75 Peter Gabriel se ne andò dalla band per intraprendere la sua sfolgorante carriera solista, gli altri due album prima della dipartita di Steve Hackett, anch’egli impegnato poi in una prolifica carriera a solo, sono A Trick Of The Tail (1975) e Wind And Wuthering (1977) nei quali si è messo a cantare Phil Collins. Ma questa non vuol essere una retrospettiva sui Genesis. Ah no? Alla faccia, ho snocciolato tutta la loro storia in poche righe… Be’ l’ho fatto per poter parlare dei temi trattati nelle liriche di Peter Gabriel ed entrare a gamba tesa nel campo d’interesse di Sugarpulp. Genesis, The Musical Box - Peter Gabriel I testi del cantante inglese sono impregnati di metafore e giochi di parole utilizzati come escamotage per denunciare i mali della società britannica dell’epoca ancora molto attuali e scottanti. A volte sono racconti di fantascienza e fantasy, alieni e piante giganti carnivore, l’invasione sulla Terra dei demoni Gog e Magog, apocalissi, cene servite e pagine strappate di un libro in riva al mare. Favole dalle atmosfere vittoriane calate in un’ambientazione british fino al midollo ma con un risvolto amaro, nero come la pece e rosso come il sangue. La più rappresentativa di quest’ultima categoria è The Musical Box, presente in Nursery Cryme del 1971. Un vero e proprio racconto horror dai risvolti pulp sotto forma di fiaba. I protagonisti sono due bambini di un asilo nel quale si dovrebbero ascoltare soltanto canzoncine carine di un carillon e dove invece avviene un crimine mostruoso e terribile. Il titolo dell’album è il gioco di parole incarnato da questo brano: le canzoncine carine dell’asilo sono le nursey rhymes mentre invece il crimine che accade nell’asilo è il nursery cryme. Ma cosa accade in questo asilo degli orrori? Nella fantasia visionaria di Peter Gabriel, l’asilo in questione si affaccia su un bel giardino di epoca vittoriana, suppergiù agli inizi del ‘900. Molto probabilmente è una trasposizione immaginaria della Chartehouse, il duro collegio in cui Gabriel ha trascorso l’infanzia insieme agli amici Tony Banks, Mike Rutherford e Anthony Phillips (primo chitarrista nei Genesis di Trespass e poi prolifico autore solista come Hackett). In un pomeriggio sul tardi in cui l’asilo è deserto, una bambina e un bambino giocano a criquet in giardino. Peccato che il bambino, scherzando, si metta sdraiato sull’erba per far prendere la mira alla bambina, pronta con la mazza a tirare la pallina. Un colpo netto, un rumore sordo, un lago di sangue, la testa mozzata del bambino vola via in buca. La scena viene riprodotta alla perfezione nella copertina dell’album disegnata con maestria da Paul Whitehead, autore di tutte le copertine della band da Trespass a Foxtrot. Passano gli anni, la ragazzina cresce impunita e diventa una donna. Il destino però vuole che tra le mani gli ricapiti il carillion che suonava quella vecchia canzoncina che le piaceva tanto quando andava all’asilo, Old King Cole. Appena la donna apre il coperchio del carillon ne esce una nebbiolina che prende la forma di un bambino: è il ragazzino che lei ha ucciso all’asilo. Una metafora per sottolineare il rimorso di coscienza della donna? Molto probabile. maxresdefault Fatto sta che il fantasma invecchia velocemente e le parla, dicendole che è passato molto tempo e lui l’ha sempre aspettata e ha sempre pensato a lei, anche in termini sessuali adesso che è diventata donna. Il contrappasso affonda le radici nella poesia dantesca, e qui il vecchietto del carillon fa morire letteralmente di paura la giovane donna che nasconde dentro di sé un fardello grosso come un macigno: l’omicidio insoluto del bambino. La catarsi finale è orchestrata in modo magistrale dai Genesis, con un crescendo emozionante e un intreccio di strumenti da brividi che sottolineano l’avvicinarsi del vecchietto alla donna mentre le chiede urlando “Perché non mi tocchi adesso?” La fine della donna è lasciata all’immaginazione dell’ascoltatore, anche se c’è poco da immaginare. Il punto cruciale che Gabriel vuole sottolineare è che la vita prima o poi ti sbatte in faccia tutto quello che hai fatto e viene a chiedere pegno. Sembra banale ma è bene ricordarlo. E un bellissimo brano prog-rock a tinte fiabesche rosso sangue è sempre lì a farlo, dal 1971. Facciamo attenzione ai nostri/vostri carillon. Guarda su Youtube un live del ’73 dei Genesi di The Musical Box