Get out è un film strepitoso: un horror moderno gioca con i codici del genere e li mette al servizio di tematiche attuali, come i conflitti interrazziali.

Signore e signori, senza troppi giri di parole, siamo davanti a un film strepitoso: Get out è un horror moderno, anzi l’unica forma possibile in cui questo genere possa ancora spiazzare, emozionare e far pensare allo stesso tempo.

Politico e radicale, il film di Jordan Peele (alla sua prima regia dopo anni di sketch televisivi e serie comiche, vedi Kay and Peele) gioca con i codici dell’horror e li mette al servizio di tematiche attuali, come i conflitti interrazziali.

La storia

Immaginate Indovina chi viene a cena in versione 2.0, virato in chiave horror e ovviamente politicamente scorretto come non sarebbe potuto essere un film negli anni ‘60.

Chris è un giovane fotografo di colore. Assecondando la fidanzata Rose, decide di passare un week end nella villa dei suoi genitori, ricchi e bianchi, nonostante il timore di essere giudicato per il colore della pelle. Prende le mosse da questo pregiudizio al contrario un soggiorno pieno di indizi, spesso fuorvianti, e colpi di scena. Il protagonista, così come lo spettatore immedesimato, vivrà un’incertezza crescente, fino alla degna conclusione.

Non siamo davanti a un horror puro, ma un ibrido che assume improvvisamente anche i toni della commedia, come illustri predecessori del calibro di Nightmare o Scream, del maestro Wes Craven.

Dal punto di vista dei contenuti invece il film si inserisce in quella che potremmo definire new wave del cinema afroamericano, insieme a produzioni seriali come Atlanta o Blackish. Un cinema che si confronta con la situazione sociopolitica americana, le tensioni razziali, le disparità economiche.

Blockbuster low cost

Jordan Peele ha inseguito per anni il sogno di realizzare questo film. Fino all’incontro con Jason Blum, re mida di Hollywood. Un uomo che ha trasformato in blockbuster produzioni a basso costo come lo stesso Get out ma prima ancora Split o Insidious. Anche questa volta la scelta è risultata azzeccata.

Peele oltre ad aver scritto una sceneggiatura “smart”, dimostra un grande talento anche dietro la macchina da presa. Il film è permeato da un’atmosfera ansiogena che tiene lo spettatore stretto ai braccioli della poltrona, fino a consumarli. Instilla e alimenta certezze per poi sgretolarle, mantenendo alta la tensione senza servirsi di effetti spettacolari ma un uso sapiente della macchina.

Un cast perfetto

Se il prodotto funziona è anche merito di una squadra di attori davvero in parte, a cominciare dal protagonista Daniel Kaluuya, così come Allison Williams nei panni della fidanzata Rose.

Per non parlare della coppia di genitori e i personaggi secondari che Chris incontrerà durante il suo soggiorno da incubo nella villa. La domestica Georgina non vi farà più dormire. Nota di merito anche per Lil Rel Howery, mina vagante del film e protagonista delle improvvise virate comiche che arricchiscono anziché penalizzare la pellicola.

Jordan Peele emoziona e fa riflettere raccontando le tante contraddizioni che ancora caratterizzano i rapporti interrazziali in America, esacerbate dagli episodi di violenza degli ultimi tempi. E come nel romanzo Tra me e il mondo, di Ta-Nehisi Coates, porta al cinema il tema della precarietà del corpo dei neri nella società americana, in maniera efficace e sorprendente.