Greta tace, la recensione di Claudio Mattia Serafin del volume di racconti di Alessandra Macrì pubblicato da Linea Edizioni.

Greta tace, copertina

  • Titolo: Greta tace
  • Autrice: Alessandra Macrì
  • Editore: Linea edizioni

Greta, alcove, cabine, la paura e la carne: entriamo nell’affascinante mondo letterario di un’autrice estremamente capace.

In questa serie di rapidi e stordenti round letterari, l’autrice, al suo esordio, introduce il lettore in un mondo che ha categorie e metodi molto arcaici e risalenti nel tempo: ciò che infatti oggi viene semplificato al massimo (con termini quali suspense, coinvolgimento, trama ecc.) ha in realtà precedenti più nobili e non soggetti a invecchiamento.

Se infatti il racconto intorno al fuoco (questo libro è una raccolta di racconti) è modalità attraverso la quale si sollecita l’attenzione degli astanti, la letteratura che si degni di essere profonda è in realtà di per sé thrilling. Peccato però che termini come thriller, plot, binge, ecc., tra – ipotizziamo – cento anni saranno del tutto scomparsi.

L’insondabile dato dai sentimenti umani ovviamente no: esisteva prima (ci si accontenti di questa generica dizione temporale) e continuerà a esistere fino a che una qualsiasi mente umana registrerà dati, informazioni, sensazioni, queste ultime sfaccettate qualora la suddetta individualità ne incontri un’altra, allacciando legami che possono essere superficiali, perversi, onesti, leali, disinteressati, interessati, e via dicendo, facendo qui riferimento a tutta la gamma delle possibili relazioni, moralmente discutibili o intellettualmente limpide, come si preferisce.

La vera brevità del racconto

Orbene la scrittrice anzitutto presceglie la forma più interessante e attuale di narrazione: il racconto. Che il racconto possa essere autoconclusivo è ovvio, eppure esso contiene verità e sinallagmi che potrebbero non abbandonare mai più un lettore attento. Più di molti romanzi, per dire.

Il legame tra racconti, poi, dà vita alla forma della raccolta, che a ben vedere restituisce qualcosa che assomiglia molto a un legame mistico (tra i racconti, come tra le altre cose della vita). Il legame logico, che è poi categoria che l’autrice utilizza pagina dopo pagina, se non anche riga dopo riga, è quanto di più simile e rispettoso della vita di ognuno. Per non essere sopraffatti dagli eventi, normalmente ci si limita ad analizzarli con quello che si ritiene essere il principio di non contraddizione aristotelico, il quale per forza di cose noi europei / occidentali siamo costretti a osservare, nonostante tutto.

Se invece si intende valorizzare il concetto di contraddizione (e quindi la teoria dei contrari), chiaramente tale principio perde anche la più minima valenza, e questo è particolarmente evidente in tutta la letteratura americana, tanto canadese, quanto statunitense e sudamericana.

Greta tace potrebbe essere collocata nel mezzo, perché non è particolarmente presente la leggiadria quasi strafottente di Mordecai Richler o dei tanti autori di realismo fantastico, quanto piuttosto una polarizzazione sentimentale e autoriale che potrebbe far pensare a elementi gotici, se non anche estremisti (non in senso politico, bensì psicologico). Ma anche questa qualificazione perde di particolare senso, per i motivi che si andranno a esporre.

Un’autrice minimalista

Il paragone con il minimalismo di Carver (o del Modiano citato, che tuttavia non è poi così minimale) e delle sue narrazioni brevi potrebbe essere opportuno, benché a dire il vero il suddetto autore preferisca esprimere spesso – su un piano artistico – una confusione intellettiva nei confronti della quale la nostra scrittrice è invece molto distante. Infatti, ella vede cosa accade e lo vede molto bene, descrivendo dunque l’accaduto al lettore, senza temere eventuali reazioni.

Al limite può fermarsi prima di un suo eventuale sconvolgimento, ma nulla di più: il mestiere dello scrivere, cui è evidentemente molto devota, va portato a termine, è forse il lavoro che più merita di essere compiuto. Dunque è lei la vera minimalista. Un minimalismo che è più musicale che letterario, perciò sarebbe addirittura più semplice paragonare questi racconti agli Études di Philip Glass che alla cosiddetta narrativa isterica, la quale ha avuto un suo fiorente e discutibile sviluppo, specialmente negli ultimi quindici anni.

Che cosa succede

Questo è tanto evidente nel racconto che dà il titolo alla raccolta, come anche negli altri, ergo si potrebbe identificare tale amore per lo scrivere come marchio di fabbrica.

Quanto ai temi trattati, è interessante notare che – una volta tanto nella narrativa, specie quella italiana – l’autrice cerca di capire l’origine onesta o comunque naturale di alcuni desideri umani, tra il fisico e il mentale. Difficile propendere per l’una o l’altra soluzione, perché la voce narrante lascia chiaramente intendere che vi sia un legame atavico tra i corpi umani che fanno la loro comparsa nella narrazione e il setting (saloni, divani, ecc.), e l’influenza immanente che hanno su questo intimismo domestico / urbano i pensieri imprevedibili (?) dei protagonisti.

L’argomento erotico, ad esempio, è in realtà scientifico (in specie nei primi due racconti). Questo allontana sempre di più, dunque, lo stile e il registro dalle cosiddette. narrazioni orizzontali (non tanto rasserenanti, ma che semplicemente si muovono da un punto A a un punto B), per gettarci letteralmente nelle cosiddette narrazioni verticali, a pozzo, con relative cadute e risalite. Le uniche che, francamente, stanno a diretto e fitto colloquio con l’inconscio.

Certo: nulla hanno a che vedere questi racconti con la letteratura dell’orrore, ma casomai con colori e tendaggi tipici del pulp (ossia il genere letterario contenuto nelle relative riviste, non il pulp inteso come narrazione crime): la differenza abissale anche qui è però data dal linguaggio, che è cesellato alla perfezione.

Il labor limae effettuato rende chiaramente quest’opera profondamente letteraria e volta a stupire in modi diversi dalla letteratura pulp, ma ciò che condividono è sicuramente l’onestà e l’umiltà distribuite in egual misura al lettore e alla voce narrante stessa, che rimane a disposizione di un pulpito.

In poche parole, la scrittrice non sta parlando da sola, come purtroppo si deve notare in lavori contemporanei afflitti da eccessiva letterarietà. Ma questo direi che è il manifesto stesso della rivista che ci ospita, dunque auguro a tutti quanti un’attenta lettura.