Alessandro “Asso” Stefana, Zeno de Rossi e Danilo Gallo: in arte Guano Padano, formazione “giovane”, ma unica, nel panorama della musica strumentale italiana (e non solo). Da pochi mesi sono sbarcati sugli scaffali dei negozi di dischi con il loro album d’esordio, l’incredibile self-titled “Guano Padano”, prodotto da “Important records” e recensito, traccia per traccia, dal mitico Joey Burns, dei Calexico. Noi di SugarPulp, convinti di aver individuato delle profonde affinità tra la loro idea di musica, e la nostra di letteratura, abbiamo incontrato “Asso” Stefana, per rivolgergli alcune domande… Eccovi il risultato.

Alessandro Asso Stefana, chitarrista, compositore, collaboratore, tra gli altri, di Vinicio Capossela: raccontaci qualcosa di te…

Sì, allora… Sono nato a Brescia nel 1981. Grazie a mio padre, ho incominciato ad interessarmi di musica fin da bambino: nel 1987 ho iniziato a studiare chitarra classica, smettendo solo nel 1998. Pian piano ho cominciato ad interessarmi a molti altri strumenti, come lap e pedal steel, kalimba, omnichord, ukulele, balafon, organo, chitarra elettrica, banjo, e a lavorare con echi a nastro e loop di vinili. Oggi, oltre che chitarrista, sono compositore e produttore. Nel 2007 ho pubblicato, con Important Records, il disco solista “Poste e telegrafi”. Oggi collaboro stabilmente con Capossela, Mike Patton (Mondocane) e Guano Padano.

Del progetto “Guano Padano”, cosa ci dici? Com’è nata la formazione, come sono nati i pezzi, quali sono le vostre influenze musicali e come siete approdati all’americana “Important Records”?

Il gruppo è nato per un fortuito caso. Io e Zeno ci siamo conosciuti qualche anno fa, provenivamo da strade diverse e ci siamo trovati nella band di Vinicio; è nata un’amicizia unica, direi fraterna. Un giorno, non ricordo bene come, iniziamo a parlare di “Guano Padano”, in un anno nella nostra mente questa idea si fa così concreta che sembrava avessimo già suonato, già fatto dischi, etc…in realtà era ancora solo un progetto. Ma credo che tutta questa attesa, questa preparazione sia servita perché si è poi trasformata nell’urgenza artistica di registrare il nostro primo disco. Per quanto riguarda il terzo membro, Zeno era certo che sarebbe stato Danilo Gallo. Io all’epoca non lo conoscevo ancora, ci siamo incontrati un pomeriggio, ci siamo stretti la mano e dopo poche ore avevamo già composto due pezzi. E’ stato il battesimo del gruppo.
Important Records aveva già pubblicato il mio precedente disco “Poste e Telegrafi”, così, sentendo il lavoro, non ha esitato a pubblicare anche Guano Padano. Purtroppo è stato impossibile, anche questa volta trovare un’etichetta italiana disponibile a pubblicare la nostra musica.

Cosa c’è di nuovo (o di diverso) nello spirito di “Guano Padano” rispetto al tuo lavoro solista “Poste e telegrafi”?

Direi che lo spirito è comune, “Poste e Telegrafi” è però concepito come una miniatura, una piccola colonna sonora, più intima e dilatata allo stesso tempo, pensata per essere suonata anche in solo. “Guano Padano” si differenzia già per il solo fatto di essere una vera e propria band, per di più composta da tre musicisti di estrazione molto diversa.

Il nome “Guano Padano” mi ha subito colpito, dandomi l’idea di una musica fortemente stratificata, aperta a diverse influenze, ma sempre saldamente radicata sul territorio d’origine, quello della Pianura Padana. Mi sbaglio?

Ad eccezione di Danilo, che non è proprio originario ma ci vive da molti anni, siamo nati nella Pianura. Per quanto possa sembrare triste e grigio viverci, personalmente trovo che questo territorio abbia un suo senso, una particolare poesia.

Nel panorama della musica contemporanea, “leggera” e non, si assiste spesso, soprattutto quando prevale un sistema compositivo di tipo “formalista” (nel senso positivo e jazzistico del termine), all’introduzione di elementi etnici appartenenti a tradizioni anche distanti, scelti su base estetica, o magari proprio per correggere “limiti” del proprio universo culturale di provenienza… Come per una sorta di relativismo musicale, che oppone una composizione volontariamente “meticcia”, multiculturale e multietnica, all’etnocentrismo ancora particolarmente diffuso in un paese come l’Italia. Nel vostro caso, invece, mi pare che il recupero di atmosfere country e western sia legato all’individuazione di una serie di affinità, come se voleste sottolineare un’anima comune. Ovviamente, si tratta solo di una sensazione (supportata, al più, dal nome della formazione)… Ho visto giusto? E, se sì, cos’è che fa degli abitanti del nord-est, dei moderni cowboys?

È incredibile come anche dall’altra parte del mondo puoi ritrovare cose che hai dietro casa. Nello specifico musicale sto pensando ad esempio ad un gruppo mariachi messicano, i Los Madrugadores. Senti un disco del genere, confrontato con i canti dei nostri nonni, e ci ritrovi un senso molto comune. Non bisogna mai dimenticare che lo “spaghetti western” – il termine ci aiuta – è nato da noi. In Italia, negli anni passati, si è assistito ad un periodo incredibile in cui sono anche state inventate delle formule, dei generi, con il tempo seguiti anche da altri paesi. Credo che tra lo “spaghetti western” e il country americano ci sia un’affinità davvero notevole. Credo che la possibilità di perdersi a vista d’occhio dei campi di grano, i rigagnoli, il sole nascosto dalla nebbia, i deserti bianchi di brina e i pollai, ci avvicinino molto a qualsiasi posto sperduto negli Stati Uniti… la Pianura è il nostro West.

La domanda può  sembrare assurda, visto che lavorate senza testi, ma avete dei riferimenti letterari, che so, autori ai quali vi sentite vicini per atmosfere o altro?

Personalmente sono rimasto molto affascinato da certe letture di Steinbeck come “Uomini e Topi” “Pian della Tortilla”, ma anche “Questa terra è la mia terra” di Woody Guthrie è a suo modo una vera e propria Bibbia. Come non citare, a questo punto, “Savana Padana” di Matteo Righetto, libro che ho finito di leggere in quest’istante, e che mi è piaciuto davvero molto!

Nessun recensore dei Guano Padano può esimersi dal citare il carattere “cinematografico” della vostra musica. Ora che ne ho l’occasione, voglio chiederti: quali sono i vostri riferimenti cinematografici?

Moltissimo cinema italiano, naturalmente tutto Leone, Fellini, ma devo dirti che sono rimasto veramente sconvolto sia da tutti i documentari di Vittorio De Seta ma sopratutto dal suo “Banditi a Orgosolo” che considero un capolavoro assoluto. Poi Jarmush, Tarantino, Clint Eastwood e tutti gli altri.

Il vostro primo lavoro ha avuto un’accoglienza a dir poco calorosa; avete già qualcos’altro in cantiere?

Lavoreremo presto al nuovo disco, del quale cominciamo già ad avere nuovi brani e nuove strade da esplorare. Poi ci piacerebbe  prendere in considerazione l’idea di fare qualcosa con Bobby Solo in futuro.

Ottima idea: la sua partecipazione al vostro primo lavoro, con la cover della classica “Ramblin’ man” di Hank Williams, è semplicemente favolosa:  a questo punto non posso che sperare che i Guano Padano comincino a girare l’Italia con la loro musica, magari fermandosi dalle mie parti…