Hitman purtroppo è l’ennesimo prodotto “games-to-movies” realizzato con eccessiva approssimazione e leggerezza creativa

Con la singolare eccezione di Roger Ebert (sorta di Mereghetti americano, celebre come abituale stroncatore dei lavori dell'”incompreso” Roland Emmerich), la quasi totalità della critica USA, tipicamente più generosa di quella del Vecchio Continente nei confronti del cinema di largo consumo a scarso tasso intellettuale, non si è fatta per nulla pregare nell’elargire sonore stroncature a questo “Hitman” di Xavier Gens.

Preconcetti generalizzati nei confronti di ogni trasposizione filmica che abbia come source material un famoso videogame (qui il titolo omonimo della Eidos Interactive)? Può darsi.

Certo è che il film, scritta da Skip Woods (“Codice: Swordfish” con John Travolta e Hugh Jackman) e prodotta da Luc Besson, non si sforza quasi per nulla per tentare di elevarsi dalla (mediocre) routine, prestando, al contrario, il fianco alle più feroci critiche con la stessa noncuranza con cui l’Agente 47 sfida le raffiche dei proiettili dei suoi interminabili avversari.

Hitman

Il film ha un buon avvio, con i titoli di testa che scorrono sulle note dell’Ave Maria di Schubert, mentre le immagini raccontano la cruda genesi e gli infausti sviluppi del misterioso progetto segreto che ha portato alla creazione degli infallibili e temutissimi Hitmen.

Lo sviluppo del racconto, con il protagonista (un convincente Timothy Olyphant che si conferma interprete di qualità dopo l’exploit del magnifico “Deadwood” televisivo, impersonando con spietato disincanto e singolare grazia una disumana macchina per uccidere ricca di umanissime contraddizioni) non è però all’altezza delle interessanti premesse, con sceneggiatore e regista che scelgono di accompagnare lo spettatore attraverso una lunga serie di artefatti luoghi comuni, e scene che sanno di risaputo o già visto, interrotte qua e là da occasionali lampi (la brutale sequenza africana, ad esempio, o alcuni siparietti dell’Agente 47) insufficienti comunque per risvegliare opera e pubblico dal torpore generale di ritmo e idee.

All’eleganza dell’intrigante title character non ne corrisponde, insomma, una identica a livello di forma e contenuto della pellicola che prova a raccontarne le gesta, la quale, al contrario, con un incedere narrativo disarmonico e abbastanza confuso, non è in grado di predisporre una cornice adeguata (né dal punto di vista della storia, né tantomeno dei personaggi) per un anti-eroe indubbiamente indovinato e capace, per presenza scenica, di bucare lo schermo.

Hitman

Lo script di Woods che, pur senza strafare, si era dimostrato autore ben più preciso e interessante con lo “Swordfish” di Dominic Sena del 2001, qui non ne indovina, infatti, praticamente una: dal confuso e pretestuoso complotto che colpisce 47, alla sua risibile, abbozzata love-story con Nika (un’imbarazzante Olga Kurylenko), per non parlare di una schiera di villain e controparti (il detective dell’Interpol di Dougray Scott o l’agente russo impersonato da Robert Knepper, peraltro strepitoso T-Bag in “Prison Break”) di scarso spessore e davvero impalpabili.

Restano all’attivo, oltre, come detto, l’interpretazione azzeccata di Olyphant, la bruciante e stilizzata violenza nonché una certa visione “nera” della realtà geopolitica e dei rapporti internazionali (basati quasi esclusivamente sul cinismo e la volontà di sopraffazione dell’altro) lucidamente scevra di ipocrisie o buonismi di sorta.

E’ già qualcosa per evitare a “Hitman” (produttore esecutivo Vin Diesel, che in un primo tempo ne avrebbe dovuto essere la star) di finire direttamente nell’oblio del cine-superfluo, ma ancora troppo poco perchè si possa parlare realmente di (buon) cinema con questo ennesimo prodotto “games-to-movies” realizzato con eccessiva approssimazione e leggerezza creativa.

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