Hunters, la recensione di Matteo Marchisio della nuova serie con Al Pacino. Una serie non indimenticabile ma da guardare.

Questa roba è come plutonio, diceva Mark Wahlberg in Shooter. Maneggiare la shoah, è proprio come toccare materiale radioattivo, in ogni caso ci si fa male.

Hunters è un bel thrillerone in dieci episodi, che va visto cum grano salis.

Perché ci sono i lager, i nazisti, tante leggerezze storiche, lunghi monologhi sulla differenza tra vendetta e giustizia, complottismo di serie A ed ebrei ricchi negli Stati uniti degli anni ‘70. 

Argomenti già cazzuti di per sé, figuriamoci mixati. Inutile girarci intorno.

Un thirller che si muove su un terreno minato

Se da un lato gli sviluppatori hanno dato vita a un thriller vendicativo in cui un gruppo di cacciatori bracca i nazisti nascosti negli USA dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, dall’altro il background dei campi di concentramento che riempie alcuni dei momenti più intensi della serie è spesso caricaturale, poco realistico e immotivatamente diverso da quanto è Storia.

Approcciarsi a un tema come la shoah e usarlo come innesco di una crime fiction a tinte esagerate che fa il verso a Tarantino o alla superhero black comedy alla Kick Ass è stato azzardato, ma ha dato la spinta giusta alla serie per non cadere nell’immediato dimenticatoio delle serie belle ma non bellissime. La casa produttrice Monkeypaw Productions non è nuova a questi virtuosismi: alcuni dei suoi titoli? BlacKkKlansman, Us, Scappa-Get Out.

Non per nulla, le critiche maggiori a Hunters sono proprio queste: aver trattato superficialmente un momento storico drammatico, inventando di sana pianta crudeltà cinematograficamente funzionali, invece di pescare nell’oceano di crimini accertati commessi nei lager. Non per nulla l’Auschwitz-Birkenau State Museum ha definito Hunters carburante per nuovi negazionisti.

D’altra parte ammantare eventi storici con un velo di intoccabilità rischia di farli cadere in un pozzo di diffidenza e distacco, fomentando l’esercito di asinelli contemporanei che sventola quotidianamente la bandiera del revisionismo. 

Hunters però proprio in questo frangente è onesta fin da subito: i nazi sono esagerati, spesso poco storici ma sono malvagi e sono il nemico. Critiche del genere, comunque, erano già state rivolte a perle videoludiche come i Castle Wolfenstein. 

La shoah è successa, i nazisti fanno schifo, perciò una serie TV con protagonisti ebrei incazzati è più che giusta, specialmente se a comandarli c’è un Al Pacino in stato di grazia, praticamente mai visto sul piccolo schermo.

Dieci puntate tra vendetta e complottismo

Hunters ha dieci puntate, un’ora ciascuna, in cui il giovane Jonah sperimenta il significato di una vendetta covata per trent’anni da un gruppo di Jews sopravvissuti ed emigrati in America, nei confronti dei loro aguzzini, ritrovati in panciolle nel loro stesso paese, perfettamente mimetizzati, militarizzati, determinati a dar vita al Quarto Reich

In Hunters c’è una bella porzione di complottismo, tanto che la fa da padrone in molte puntate, tirando in ballo reali manovre dei servizi di informazione USA, una tra tutte l’operazione Paperclip.

 I cacciatori sono un’accozzaglia di caricature pulp, nell’intenzione di inserire quanto più possibile del background dell’America di fine anni ’70: un veterano del Vietnam, una Black Panter, un attore strampalato hippy (Josh Radnor con i basettoni, Ted di HIMYM), e una coppia di tenerissimi coniugi, i Markowitz.

Hunters, una serie da guardare (attenzione allo spoilerone finale)

Difficile definire Hunters una serie indimenticabile, ma è assolutamente da guardare. Va vista perché tra una risata e un’esagerazione è impossibile non riflettere almeno un millisecondo sulle devastazioni del nazismo.

E perché senza dubbio è un ottimo prodotto. 

Prende bene e si spera ovviamente in un’altra stagione per vari motivi: Al Pacino in TV, le gag della banda degli Hunters, e il bel colpo di scena finale, anzi la combo di colpi di scena che chiudono la decima puntata, con tanto di zio Aldolf che si siede a tavola, alla faccia della teoria del complotto.