Il cavaliere oscuro non è Wayne ma il Joker di Heath Ledger. Un’interpretazione che ha cambiato il modo di concepire il supervillain.

Se il tentativo di eguagliare l’ottimo risultato artistico del Batman begins del 2005 – intelligente e originale rilettura delle origini dell’eroe, capace di rilanciarne immagine e potenzialità commerciali dopo la debacle a firma Joel Schumacher della seconda metà degli anni 90′ – poteva sembrare impegnativo e rischioso, il regista Christopher Nolan deve aver pensato che tanto valeva superarsi.

Il cavaliere oscuro

Il cavaliere oscuro – scritto col fratello Jonathan da un soggetto elaborato con David S. Goyer – alza enormemente la posta in gioco, portando al “next level” il franchise del nuovo Batman della Warner Bros.

Il film riesce, infatti, a coniugare il rispetto ferreo della mitologia del personaggio, e del collaterale filologico di decenni di storie a fumetti, con il complesso e abile intersecarsi di tematiche raffinate e tutt’altro che banali. E fa ciò senza per questo dimenticarsi di costruire una reale concatenazione narrativa seriale – indispensabile per la creazione di una continuità indipendente all’interno della saga – , o di inscenare l’iperspettacolarità muscolare e adrenalinica che è da sempre il sale imprescindibile di ogni blockbuster moderno, almeno da James Cameron in poi.

Nolan reintroduce un villain leggendario come il Joker e, aiutato dalla monumentale interpretazione del mai abbastanza compianto Heath Ledger – che si supera in una prova di geniale potenza, offuscando un certo Jack Nicholson per andarsi a guadagnare un doveroso Oscar postumo – , mette in scena la decadenza civile e morale di Gotham. Una città che, guardando alle metropoli del mondo reale, di inventato e fantastico sembra avere proprio solo il nome.

Il cavaliere oscuro

“The Dark Knight”, energico, crudo e straordinario pamphlet sul lato oscuro dell’uomo – eroe, criminale, poliziotto, o persona comune che sia, individuo solitario o animale sociale che dir si voglia – , sceglie la via della dissertazione intransigente sulla cupa follia che alberga nell’ombra in ogni casa e in ogni cuore, pronta a riesplodere come una bomba ad orologeria di fronte al contesto o agli stimoli giusti.

Si tratta, in conclusione, di cinema allo stato puro, di un lavoro di primissimo livello che cresce nel tempo dentro allo spettatore, incuriosendolo con i suoi molteplici significati e i bellissimi chiaroscuri dei suoi messaggi di disincantata speranza, come solo i capolavori, o quantomeno i grandissimi film, sanno fare.

Il cavaliere oscuro

Quando poi, in una cornice di tale sontuosa bellezza, brillano interpreti – oltre al magnifico Ledger – del valore di Christian Bale (tormentato Bruce Wayne, sconfitto in partenza dal peso della propria missione), Michael Caine (un sempre più gustoso Alfred), Aaron Eckhart (Harvey Dent/Due Facce, ottimamente in parte), Morgan Freeman (Lucius Fox, ennesimo valore aggiunto della pellicola), Gary Oldman (un sofferto Jim Gordon), Maggie Gyllenhaal (valido “rimpiazzo” di Katie Holmes per il ruolo di Rachel Dawes), non si può non riconoscere che l’appuntamento con la Storia (del Cinema) è stato centrato in pieno.

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