Carissimi cultori della barbabietola rosso sangue, sappiamo bene come uno dei vostri generi preferiti sia il Noir in tutte le sue gradazioni e proprio per questo il Sottoscritto giornalista d’assalto è stato mandato in avanscoperta dai Mammasantissima di Sugarpulp a Roma, domenica 5 dicembre, presso la Fiera “Più Libri, Più Liberi”, dove s’è tenuta l’annuale presentazione di “RomaNoir 2010” [Edizioni Robin], questa volta dal tema “Scritture Nere. Narrativa di genere, New Italian Epic o post-noir?”
Dopo aver sgomitato all’ingresso della Fiera (c’era la fila, da non credersi) e aver carburato con una doppia sambuca presa a stomaco vuoto, indispensabile per calarmi nel ruolo del gonzo-giornalista e scrivere un pezzo alla polpa dolce (come da ordini superiori), salgo al primo piano alla ricerca della Sala Turchese.
La trovo; non è color turchese, ma in compenso è piena zeppa di appassionati lettori e di scrittori come Giulio Leoni o Francesco Verso. Modera come sempre la curatrice Elisabetta Mondello, che dal 2004 ha assunto come missione personale quella di studiare il noir italiano, e relazionano i giornalisti Paolo Petroni e Saverio Simonelli e il critico militante Filippo La Porta, noto per essere uno dei più accesi detrattori del genere in questione.
Sprezzante del pericolo e con le viscere in fiamma (per via della sambuca di cui sopra), mi piazzo in primissima fila e comincio a prendere appunti come uno scolaretto alle prime armi. Vicino a me si siede una donna dai capelli nerissimi e lo sguardo profondo; l’ho già vista da qualche altra parte? Non ricordo; sarà ancora la sambuca.
“Dove sta andando il noir?” è la domanda iniziale che pone la Prof.ssa Mondello, rifacendosi anche alla New Italian Epic dei Wu Ming e al post-noir di Raul Montanari e compagni.
Petroni argomenta come, secondo lui, il noir risponda all’esigenza di affrontare la realtà in maniera diversa e, citando Massimo Carlotto, denunciare quello che oggi il giornalismo non denuncia più come una volta.
Per Simonelli, bisogna prendere atto che c’è una domanda oggettiva e molto forte di noir da parte del pubblico e lo scrittore, in quanto nervo vivo che cattura prima degli altri gli umori della gente, agisce semplicemente di conseguenza.
È il momento di La Porta, il quale – con la consueta verve polemica – fa notare come, a parer suo, i noiristi italiani non siano stati quasi mai all’altezza della sfida che avevano di fronte. E spiega anche come sia indispensabile spezzare la gabbia del genere per andare oltre, mentre purtroppo gli scrittori neri nostrani sperimentano poco o nulla. Ci manca un Sergio Leone del noir, insomma. E, inoltre, bisognerebbe dare più importanza all’atmosfera che all’intreccio.
A questo punto il nostro Eroe, cioè me medesimo, pensa che sia arrivato il momento giusto per lanciare una bella granata a frammentazione; prende il microfono e dichiara che il Re è nudo, ossia che dietro tutta questa “voglia di noir” da parte sia dei lettori sia degli scrittori – il più delle volte – altro non ci sia che un facile meccanismo consolatorio (ovviamente, questo non vale per voi barbabietolati, che amate la carne al sangue, possibilmente ben imbottita di piombo).
Cito il grande Andrea Carlo Cappi e il suo ormai famigerato Commissario Cliché (stereotipo e summa di buona parte dei protagonisti del noir italico): un investigatore di provincia bolso, scorbutico e con gravi problemi digestivi nonché sentimentali, il quale, partendo da un caso apparentemente secondario e insignificante e dando prova di un acume insospettabile, scopre immancabilmente una tresca politico-criminale-teologica-filatetica-massonica (e chi più ne ha più ne metta) molto più grande di lui, ma alla fine il bene riesce sempre a vincere il male per la rassicurazione del lettore, che potrà andare a dormire con la luce spenta.
Dico tutto ciò per dimostrare come il cosiddetto noir italiano sia spesso quanto di più lontano e alieno dall’originale noir francese (cupo e disperato), di cui costituisce anzi una degenerazione, proprio a causa del buonismo o correttezza politica che dir si voglia. Insomma, una patacca spacciata per oro a ventiquattro carati.
Per di più, oso insinuare che questa voglia sfrenata d’impegno noirista è quantomeno sospetta e che spesso dietro di essa si potrebbe nascondere il desiderio (o l’illusione?) da parte dello scrittore di poter contare davvero qualcosa, anche oggi che il suo status sociale è diventato miserrimo, nonché la speranza (il più delle volte vana?) che denunciare i mali della società con un romanzo possa davvero cambiare il mondo. Come diceva Eros, Se bastasse una bella canzone…
A questo punto, la donna al mio fianco si alza e prende la parola. Stupisco della mia asineria. Ella altri non è che Alda Teodorani, la regina dell’horror italico, e adesso di fronte a me si sta dissociando dalla patetica immagine che ho dato del noir italiota. Non appena si risiede, le spiego sommessamente che per me lei è l’ANTITESI del buonismo stucchevole appena denunciato.
Filippo La Porta, intanto, sorride e ammette di essere stato “sorpassato a sinistra” dalla mia denuncia.
Il tempo purtroppo è tiranno e l’incontro si conclude tra saluti, strette di mano e presentazioni assortite.
Abbandono l’aula diretto alla zona ristoro per mettere qualcosa di caldo e sostanzioso nello stomaco che continua a urlarmi, e intanto mi domando meditabondo se tra un anno il mio pessimismo sarà smentito o meno.
Ricordate sempre: noi di Sugarpulp ODIAMO il Commissario Cliché e tutti i suoi derivati.