Ne Il giorno che diventammo umani Zardi crea una rete, una città, un mondo, un diorama in cui possiamo riconoscerci tutti. Questo è un libro che non si può non leggere

http://www.neoedizioni.it/neo/catalogo/il-giorno-che-diventammo-umani/Titolo: Il giorno che diventammo umani
Autore: Paolo Zardi
Editore: NEO. Edizioni (Collana Iena)
PP:  208
Prezzo: Euro 14.00

È con una sorta di timore reverenziale che mi appresto a scrivere questa recensione. Mi sento come uno che entra a San Pietro durante la messa di Natale vestito da Teletubbies portando in spalla uno stereo da Bronx che pompa Don’t tread on me dei Metallica a volume apocalittico.

Non mi accade spesso, questa è la verità. In vita mia ho recensito qualsiasi cosa e, con lo scorno dei miei haters (ce l’hanno ancora con me per Cloud Atlas), continuerò a farlo benché sia un cialtrone. Con Il giorno che diventammo umani, seconda raccolta di racconti dello scrittore padovano Paolo Zardi dopo Antropometria (sempre pubblicata dai pazzi della NEO. Edizioni), per una volta non mi sento in grado di recensire degnamente un libro.

Il perché lo possiamo trovare nelle parole della recensione di Nicola Pezzoli (che vi invito a leggere):

Lui non lo dirà mai, perché è un uomo generoso verso tutti, pieno di bontà e di umiltà, ma se Paolo Zardi vivesse in America, scriverebbe (se ne avesse voglia) sulle pagine letterarie del New York Times, i suoi libri sarebbero in classifica, e avrebbe vinto già qualche premio.

Io sono decisamente d’accordo. Talmente, da non credere che i miei toni usuali siano sufficienti a recensire efficacemente quest’opera. Vi dico questo però: da quando è uscito Il giorno che diventammo umani ne ho comprate e regalate già una decina di copie e l’ho fatto perché mi sta sinceramente a cuore lo stato della letteratura italiana.

Il grande naufragio culturale che stiamo vivendo è cominciato quando qualcuno ha smesso di gettare carbone nelle caldaie della nostra nave a forma di stivale, preferendo gettarci cartaccia. Eppure i depositi inutilizzati di carburante ci sarebbero, ci sono. Paolo Zardi è il corrispettivo umano della Rhur tedesca, in questo senso, e il suo libro dovrebbe essere letto da chiunque abbia l’ardore di chiamarsi lettore.

In questo, sono pronto a dimostrarmi parecchio talebano, come non è mia abitudine. Leggi libri? Allora leggi Zardi.

Ok, Carlo, grazie, direte voi, ma il perché non ce l’hai ancora detto. Aspettate, dico io. Una cosa alla volta.

Una voce letteraria forte propone il suo modo di vedere il mondo in cui viviamo senza svelarsi troppo. Una coscienza letteraria forte, poi, porta questo fatidico “modo” terribilmente vicino al comune sentire. Anzi, svela qualcosa di noi ad ogni parola. I personaggi di Il giorno che diventammo umani sono i nostri scafandri, possiamo indossarli per scendere a fondo nell’abisso della comprensione di ciò che ci fa essere quello che siamo o che siamo diventati un giorno. Umani, appunto.

I protagonisti della nuova raccolta di Zardi, come quelli di Antropometria, raramente possiedono nomi e cognomi. L’autore si riferisce a loro con Lui e Lei la maggior parte delle volte. Il tentativo di creare una poetica dell’everyman è palese, tanto più quanto ci si accorge che alcuni racconti sono vagamente collegati da piccole allusioni. Zardi crea una rete, una città, un mondo, un diorama in cui possiamo riconoscere noi, il nostro vicino di casa (quello stronzo), il nostro capo, la persona che amiamo, nostro figlio.

Avete mai letto uno di quei racconti di fantascienza in cui il nostro pianeta non è altro che un habitat per una razza aliena superiore e noi siamo solo esperimenti? Ebbene, in questo caso Zardi, con la perizia scientifica di chi debba studiare una specie aliena creata a tavolino, è il demiurgo invisibile che annota nel suo database comportamenti, devianze, schemi ripetuti, spingendosi un gradino oltre la semplice descrizione della commedia umana, ma creando una sorta di etologia di riferimento (o un’entomologia come ci dice Alberto Bullado nella sua recensione, riferendosi all’esergo darwiniano della raccolta). Tale operazione si può riscontrare anche nel linguaggio che usa Paolo, che mutua molti termini da quello scientifico con perizia.

Un parallelo che molti di quanti hanno letto Il giorno che diventammo umani e Antropometria fanno è quello con il lavoro di Raymond Carver e della sua scuola, principalmente con l’Amy Hempel di Ragioni per Vivere. Io ci metto in mezzo anche alcune cose di una scrittrice poco conosciuta in Italia come Laura Hird, di cui vi consiglio di recuperare Unghia, pubblicato da Einaudi. Angelo Biasella, uno dei pazzi della NEO. (non è un punto fermo) di cui sopra, mi ha fatto il nome dell’Aldo Nove di Woobinda, Superwoobinda e La più grande balena morta della lombardia. Mi trovo d’accordo un po’ con tutti (sì, anche con me stesso).

In Zardi c’è l’occhio acuto di Carver, l’ironia e il ritmo della Hempel, la banalità del male e la crudeltà della Hird, il binomio pop/fisiologia di Nove (e Ballard prima di lui), ma c’è qualcos’altro ovviamente.

Lo stile di Zardi è unico perché oltre a condensare gli elementi degli autori appena citati, mette in scena in ogni racconto una discesa (o ascesa, fate voi) verso l’epifania, verso il disvelamento interiore. Epifania non è la parola giusta, in effetti. Si dovrebbe parlare di “moment of beeing”, citando il lavoro di Virginia Woolf. La differenza fra l’epifania joyciana e il moment of beeing della Woolf è la stessa che c’è fra oggettività e soggettività.

L’epifania svela verità universali, il moment of beeing svela noi stessi. Insomma, se mai vi è capitato, in serate particolarmente alcoliche e introspettive (a me sì, non lo nego) di afferrare una verità nascosta su voi stessi, le vostre relazioni col mondo e il prossimo, la vostra sessualità, la vostra ricerca della felicità, allora avete avuto un moment of beeing. Se invece vi è mai capitato di essere ad un rave fatti marci (a me sì, non lo nego) e avete capito che l’universo, il mondo e tutto ciò che vi circonda sono parte di un unico, gigantesco essere e le divisioni sono solo convenzioni allora avete avuto un’epifania.

Zardi riesce a calarsi nei panni di ogni personaggio che racconta fino alle estreme conseguenze, fino al punto esistenziale supremo del disvelamento. In quei punti (i suoi famosi finali), la sua prosa da tecnica e analitica diventa umorale, palpitante, poetica. È un demiurgo che crea il mondo sì, ma possiede anche quella pietas che gli rende impossibile non identificarsi in ogni suo esperimento.

Mi pare di poter portare a prova di questo uno dei racconti più teneri, tristi e sinceri che abbia mai letto nell’ultimo periodo: Centocinque. Ho pianto, pure, alla fine (maledetto Zardi che fai piangere i letterati cialtroni veneziani con la schiena rotta, la canottiera nera e la bestemmia pronta). In Centocinque compare uno dei pochi personaggi con nome e cognome: Paolo, un anziano trisavolo con una marea di figli, nipoti, bisnipoti e trisnipoti. Mi è sembrato come se Paolo fosse una sorta di “scafandro personalizzato” per l’autore, non solo perché possiede lo stesso nome, ma perché nella sua famiglia riusciamo a scorgere alcuni dei personaggi che abbiamo incontrato o che incontreremo nei racconti della raccolta.

Paolo è una sorta di avo ancestrale, il creatore del mondo di Zardi e il suo personale moment of beeing è il punto di fuga delle vite degli altri e, credo, l’apice poetico della raccolta, il momento in cui lo stile si fa aereo e pizzica le corde impolverate di quello strumento da troppo inutilizzato che qualcuno chiamerebbe cuore, o anima. Altra prova dell’attrazione zardiana per il moment of beeing e il pregevolissimo pezzo di bravura dell’ultimo racconto Cinque minuti, composto di un unico periodo lunghissimo (Zardi non teme la paratassi e di certo non ha chiuso il punto e virgola nel sottoscala come il sottoscritto) che, paradossalmente, più che l’opera della woolf mi ha ricordato il monologo di Molly Bloom, in cui l’accettazione della propria condizione diventa la chiave di lettura dell’intera opera. In Zardi, però, l’accettazione è solo uno dei tanti esiti personali. Come già scritto, ogni suo personaggio è diverso e ogni momento di disvelamento particolare e unico.

So che volevo dirvi altro, ma finisco di sragionare qui. Leggete Zardi. Dovete leggere Zardi. Mi si consumeranno le dita a forza di scriverlo. Non è un consiglio da amico o recensore il mio, è proprio un ordine. Il giorno che diventammo umani e Antropometria sono le più belle raccolte di racconti italiane del nuovo millennio (purtroppo c’è stato Calvino per il millennio precedente, Paolo, cosa ci vuoi fare). Signori della NEO. quando andrete per la seconda ristampa vi intimo (oggi sono in vena di prepotenze) a scrivere quanto sopra nella fascetta, escludendo la parentesi con Calvino ovviamente. Firmate pure la citazione con Carlo Vanin, così mi fate pubblicità e la gente si dimentica della mia rece di Cloud Atlas.

Leggete Zardi, frequentate il suo blog “Grafemi” e, se abitate in provincia di Padova o dintorni partecipate al suo corso di scrittura creativa. Lo so, ce ne sono tanti di corsi di scrittura creativa, ma voi fate così: leggete Il giorno che diventammo umani e poi decidete. Vi do anche una scelta, poi dite che non sono buono.

Per finire, vi lascio con la citazione della buonanotte, direttamente dal libro appena recensito:

Scopare bene è come un buon racconto, le cose accadono nel momento esatto in cui devono succedere.

È per questo che parallelamente al corso di scrittura di Zardi io terrò un corso di educazione sessuale. Solo per donne ovviamente. Astenersi perditempo. Miga mona.