Il giudice meschino stupisce per la sottigliezza con la quale descrive gli atteggiamenti, i pensieri e le riflessioni quotidiane dei protagonisti
Titolo: Il Giudice Meschino
Autore: Mimmo Gangemi
Editore: Einaudi
PP: 353
Prezzo: 19.00
Giorgio Maremmi è un giudice oppresso dalla figura del padre che per la carriera lo spinge ad accettare il trasferimento in quella Calabria oggi cosi dilaniata tra uno Stato sempre più assente e la ‘ndrangheta di ultima generazione (feroce e razzista, oltre che priva di ogni scrupolo tanto da organizzare una caccia all’uomo nei confronti di quegli immigrati sfruttati e sottopagati, con la complicità dello stato, per distrarre l’attenzione pubblica dalla bomba piazzata al palazzo di giustizia di Reggio Calabria, probabilmente a causa di un calcolo ‘politico’ errato).
Giorgio viene ucciso sembra per mano della ‘ndrangheta e un altro giudice suo amico, l’indolente giocatore di poker e viveur Alberto Lenzi, inizia a indagare suo malgrado su quella morte che sembra essere troppo firmata dalla ‘ndrangheta per risultare tale.
Alberto si avvale della collaborazione di un suo vecchio amico, Lucio, proprietario terriero e in quanto tale con inevitabili rapporti con la malavita locale, ma soprattutto si avvale della collaborazione del vecchio capobastone Don Nino Rota, boss all’antica, in carcere da molto tempo e speranzoso di avere gli arresti domiciliari.
E sarà proprio Don Nino Rota, attraverso le sue folgoranti parabole, a indirizzare le indagini del giudice Lenzi per il verso giusto, solo che la ‘ndrangheta questa volta si rivela veramente la foglia di fico dietro alla quale si nascondono interessi ben più grandi, provenienti da quel nord che politicamente si sente legittimato a far la morale a un sud depresso e abbandonato: un sud che il potere utilizza come scusa per nascondere il suo vero volto, feroce e meschino (questo si veramente meschino a differenza del titolo fuorviante del libro).
E la spianata dell’infamia emerge con tutta la sua forza dalla sua provenienza di origine, un’origine che si trova nelle terre delle grandi industrie italiche e nordeuropee appoggiate dal potere politico, dove si ha la necessità di smaltire a basso prezzo scorie radioattive e materiali inquinanti. E qui la narrativa incontra la recente cronaca, come quella nave dei veleni di cui si è parlato qualche tempo fa e che ora sembra essere sparita dalla cronaca dei quotidiani italiani.
Più dei colpi di scena, quel che colpisce nell’esordio di Mimmo Gangemi è la sottigliezza con la quale descrive gli atteggiamenti, i pensieri e le riflessioni quotidiane dei protagonisti (oltre al Giudice Lenzi troviamo molte altre figure appartenenti alla magistratura e alle forze dell’ordine, figure tutt’altro che immacolate, visto che spesso risultano colluse con la malavita), attraverso un dettagliato resoconto dei dubbi, dei ragionamenti e delle deduzioni che ogni essere umano porta dentro di sé prima di prendere qualsiasi decisone, sia essa lavorativa, politica o amorosa.
Una descrizione efficace e portentosa nella quale non si può che ritrovare l’essenza di ogni essere umano alle prese con la propria quotidianità, ed è proprio qui, attraverso questi piccoli dettagli interiori, che lo scrittore fa centro, coinvolgendo il lettore in un’appassionante indagine dell’animo umano che aiuta a mettere in luce le ipocrisie che avvolgono la classe politica, industriale e dirigenziale italiana.