Il lato positivo, di David O. Russell, ha il pregio di guardare alle crudeli imperfezioni della vita ricavandone un sincero messaggio di speranza in grado di scaldare il cuore.
Il lato positivo, di David O. Russell, ha il pregio di guardare alle crudeli imperfezioni della vita ricavandone un sincero messaggio di speranza in grado di scaldare il cuore. Lo fa riuscendo ad essere solare e sincero, senza risultare per nulla stucchevole o buonista.
Partendo dal romanzo di Matthew Quick, David O. Russell scrive un film solido, spettacolare ed incisivo come ormai non se ne vedono quasi più, ad Hollywood come altrove.
Pat Solitano (Bradley Cooper) torna a vivere dai genitori dopo aver trascorso alcuni mesi in un istituto psichiatrico a causa del suo disturbo bipolare. Non ha più niente, di quello di cui si considera fatto un uomo nella società progredita di oggi. Non ha il lavoro, dal quale è stato cacciato, né una famiglia, visto che la moglie lo ha lasciato.
Pat però ha due cose che le persone “normali” e realizzate intorno a lui sembrano non avere, o non avere più. La speranza, sospinta dalla convinzione di poter avere indietro la vita di prima, a cominciare dalla donna amata, e il metodo, che si estrinseca in una ferrea applicazione di regole e principi per raggiungere i propri obiettivi.
I suoi amici piccolo borghesi, in piena crisi di mezza età (moderna), a modo loro si e gli vogliono bene, e hanno ancora qualche carta da giocarsi. E’ infatti grazie a loro che Pat conosce Tiffany (Jennifer Lawrence), giovane donna con la medesima ala spezzata da un destino cinico che però vorrebbe concedere ad entrambi, a tutti, la possibilità di guarire e di volare di nuovo.
La preparazione ad un’importante gara di ballo sarà la scusa per superare pregiudizi, e cicatrici posticce dell’anima, e per poter (ri)aprire il proprio cuore agli infiniti misteri delle possibilità che albergano in ognuno di noi.
Bradley Cooper è straordinario col suo Pat Solitano ostinato, sofferente e fragile, spaesato nella caparbia corsa ad ostacoli verso la felicità. Pat, giustamente, non vuole arrendersi alla sfortuna di una malattia che gioca a metterlo in difficoltà, per negargli il diritto ad una vita bella e piena di cui sente di avere bisogno come dell’aria che respira.
Jennifer Lawrence è una Tiffany magnifica, con una recitazione sfavillante che le permette di fare un po’ quello che vuole con le mille sfumature del suo bel personaggio.
I due protagonisti sono la classica punta dell’iceberg di un cast di altissimo rango dove brillano, tra gli altri, i genitori di Pat, impersonati da un Robert De Niro tornato finalmente ai livelli che gli competono e dalla sontuosa Jacki Weaver di Animal Kingdom, che riesce a bucare lo schermo anche quando si muove sotto traccia come in questo caso.
David O. Russell (Three Kings, The fighter) resta comunque il principale artefice dell’indiscutibile successo della pellicola, sceneggiata e diretta con sapiente maestria ed una chiarezza di visione esemplare.
Il “lato positivo” non lo si scova soltanto guardando il bicchiere mezzo pieno quando qualcosa non sta andando come ci si aspetterebbe. O quando capita qualcosa di brutto, appigliandosi al fatto che, però, certo, poteva succedere molto di peggio.
Il lato positivo va cercato nella vita e nelle persone di tutti i giorni, sforzandosi anche contro ogni logica o pronostico, infilandosi tra le crepe della supponente indifferenza che ovatta destini venduti, pensati, già preconfezionati, etichettati con diciture che pochi si prendono la briga di andarsi a leggere davvero.
Pat e Tiffany ci insegnano che, per essere realmente felici, non basta puntare a raggiungere la supposta qualità di una vita, i cui canoni di perfezione sono plastificati da luoghi comuni decisi sempre prima e sempre da qualcun altro. La qualità della vita è un concetto infido e illusorio. La qualità dell’approccio alla stessa, alle sue giornate sempre uguali, ma in realtà sempre diverse, con la ricerca di un’intelligente profondità di sguardo verso sé stessi e soprattutto verso l’altro, è il suo esatto contrario.
Rappresenta la salvifica, agognata meta finale che nobilita le inimmaginabili fatiche del percorso lungo il quale ci si incammina ogni giorno, per giungervi prima che sia troppo tardi.