Il nome della madre, la recensione di Corrado Ravaioli del romanzo di Roberto Camurri pubblicato da NN Editore.

- Titolo: Il nome della madre
- Autore: Roberto Camurri
- Editore: NN Editore
- PP: 176
A pochi mesi dalla nascita del loro primo figlio, Ettore viene è lasciato dalla compagna. Le dinamiche familiari innescate da questa improvvisa assenza sono la linfa del nuovo libro di Roberto Camurri, autore due anni fa del brillante esordio A misura d’uomo (NN editore).
Ne Il nome della madre il vuoto lasciato dalla figura femminile, compagna e madre, pesa come un macigno sul rapporto tra Ettore e il figlio Pietro, raccontati in fasi diverse della vita.
Camurri dipinge piccoli quadri veristi. Descrive con perizia istanti di vita quotidiana, a volte apparentemente banali. La capacità dell’autore è proprio quella di evidenziarne l’unicità e renderli ricchi di pathos.
Il suo sguardo si sofferma sulla vita di Ettore, ne descrive il trauma dell’abbandono, le difficoltà di crescere un figlio che porta con sé tutte le caratteristiche della donna che amava e che è madre di suo figlio.
Attraverso i gesti bruschi di chi è abituato a lavorare sodo e parlare poco, Ettore cerca a suo modo un rapporto Pietro, attraverso la condivisione di pratiche quotidiane. Sono momenti spesso carichi di tensione, perché il padre ha paura di sbagliare, di non essere all’altezza e finisce per creare una frattura.
Dall’altra parte di questo solco c’è Pietro, che scorge il volto della madre nel profilo degli sconosciuti, mentre tenta a sua volta maldestramente di avvicinarsi ad Ettore.
Perché in fondo padre e figlio hanno un legame scritto nel sangue, e devono affidarsi l’uno all’altro. Camurri sceglie in maniera efficace di mostrare questo rapporto conflittuale e simbiotico seguendo prima Ettore e poi Pietro.
In particolare nella seconda parte troviamo quest’ultimo ormai adulto, diviso tra l’amore per la compagna e quello per una donna che rappresenta una fuga dalle responsabilità, mentre sullo sfondo si percepisce ancora l’assenza della madre.
Una scrittura palpitante
La scrittura dell’autore emiliano, come nel libro precedente, è palpitante. Specie quando traduce in parole piccoli drammi quotidiani, sentimenti sul punto di esplodere. Se i temi cambiano non mancano alcuni fili sottili che legano il nuovo libro al precedente, a partire dal luogo dove tutto comincia e finisce.
Fabbrico, un piccolo paese della pianura Padana che incarna nel cuore dello scrittore emiliano e per osmosi nel lettore, un luogo dell’anima, quasi un protagonista aggiunto. Qui ritroviamo la Bice e il suo bar, le case coloniche con l’aia e i trattori, gli argini del fiume, dove i bambini corrono in bicicletta e i ragazzi più grandi organizzano feste estive.
È lo stesso luogo da cui Pietro cercherà di allontanarsi, alla ricerca una sorta di riscatto sociale, ma con cui dovrà fare i conti. Attendevo questo secondo romanzo con aspettative alte e sono state ripagate.
Roberto Camurri dimostra di avere già una voce riconoscibile e molto personale, attraverso la quale racconta un mondo apparentemente piccolo, quello di Fabbrico e la pianura padana, ma universale nei contenuti.