Il quinto potere, il film di Bill Condon che ripercorre lo scandalo Wikileaks e l’incredibile storia di Julian Asssange.
Da quando Gütemberg inventò la stampa a caratteri mobili, ne è passata di acqua sotto i ponti: prima complessi macchinari di legno, poi le macchine da scrivere, infine i computer portatili e smartphone.
E fin dall’inizio di questa rivoluzione, una “forza” ha sfruttato più di tutte la possibilità di diffondere idee sulla carta: la stampa.
A questo proposito, il cinema si è sprecato negli anni nel raccontare storie di giornalisti e potere, soprattutto del secolo scorso, che sono passate alla storia.
E anche in questo inzio di millenio, apparentemente l’inizio della fine dell’editoria tradizionale, ha già una storia da raccontare: Wikileaks, il sito che ha cambiato radicalmente il modo di far notizia sul web.
Il quinto potere di Bill Condon è proprio il primo, dei sicuramente tanti in futuro, titoli che hanno come protagonisti Julian Assange e il suo staff, avvolto nel mistero per svelare al mondo i segreti più torbidi di banche, organizzazioni, governi.
Una storia che fino a ieri era sulle prime pagine di tutti i giornali, web e cartacei, ma che adesso si sente sempre più di meno. O quasi.
Girato nel 2013, quindi senza includere lo scandalo del Datagate che ha dato nuova popolarità al sito, il film si basa principalmente sui libri Wikileaks. La battaglia di Julian Assange contro il segreto di stato di Luke Harding e David Leigh, e Inside WikiLeaks. La mia esperienza al fianco di Julian Assange nel sito più pericoloso al mondo di Daniel Domscheit-Berg, che per anni fu collaboratore di Assange e co-artefice del successo mondiale di Wikileaks.
Il quale, per l’occasione, viene interpretato dal solito nerd-figone che piace tanto al cinema, Daniel Brühl, mentre la mente contorta dell’hacker australiano è un perfetto Benedict Cumberbatch.
La storia della piattaforma che ha fatto più scoop in pochi anni di qualunque altra testata inizia a una convention di smanettoni a Berlino.
Quì il tedesco e Assange, già discretamente famoso in rete, si incontrano ed è questione di poco prima che collaborino al primo caso scaboroso: rivelare i torbidi segreti di un colosso bancario.
Come una droga, il rivelare notizie sensazionali pervade il duo, che si scopre essere l’unico fondamento di Wikileaks: bisogna reclutare nuove leve.
E il loro lavoro diventa, così, un continuo giro per il mondo, tra contatti con testimoni e giornalisti che si interessano sempre più a ciò che fanno. Ma non basta ancora, a livello di popolarità, perché manca qualcosa: la rielaborazione giornalistica.
Il problema emerge come un getto da un geyser quando gli capita tra le mani uno degli scoop più sensazionali di inizio secolo: gli orrori compiuti dai soldati americani sui civili in Medio Oriente, tra cui i video dei bombardamenti su persone inermi che abbiamo visto tutti.
Per Assange bisogna rivelare tutto, senza togliere nomi e cognomi; Domscheit-Berg invece vorrebbe coprirli e risolvere il complicato linguaggio militare.
Tutto ciò significherà una cosa: l’alleanza a denti stretti con i più importanti giornali occidentali, come il The Guardian e il New York Times, necessaria per pubblicare con coscienza il materiale e diffonderlo a più gente possibile.
Ciò non impedirà all’hacker australiano di ripubblicare i file senza correzioni, su Wikileaks, in un modo che ricorda l’incipit di un film di 007.
Detto che non poteva essere fatta migliore scelta di Cumberbatch per interpretare Julian Assange, anche Brühl fa la sua sporca figura, emergendo ovviamente come eroe positivo alla fine (il libro da cui è arrivata la pellicola è il suo, vorrei ben vedere il contrario), mentre la controparte assume i contorni sfocati di un enigma destinato a essere tale: né diavolo né angelo fino in fondo, solo una vita segnata dal destino.
La conclusione, invece, lascia il tempo che trova, soprattutto visti gli successivi sviluppi legati alla “liberà di espressione” su internet: la fiducia di cui si fa voce Condon è poetica, ma destinata a scontrarsi con l’inevitabile Storia.
A meno che un nuovo Wikileaks non emerga di nuovo, per dare nuovo ossigeno all’utopia di una stampa libera contro le ingiustizie.