Il sangue è randagio è un libro epico, tragico, chiusura perfetta per la Underworld USA Trilogy di James Ellroy

Il sangue è randagio

Titolo: Il sangue è randagio
Autore: James Ellroy
PP: 287
Editore: Mondadori
Prezzo: Euro 24.00

Si è chiuso il cerchio: il terzo capitolo della Underworld USA Trilogy è finalmente arrivato in Italia dopo mesi di continui ed estenuanti rimandi (il lancio sul mercato nostrano era previsto ben prima della fine del 2009).

Tale lavoro è stato affrontato e digerito (859 pagine) con l’amara consapevolezza che scorpacciate così appaganti capitano troppo di rado.

“The Dog” è quindi tornato ad intrattenerci con la sua prosa al cardiopalma prendendoci per mano, quasi rassicurandoci. Nell’antefatto ripete ai lettori per ben tre volte:

E come non stare al suo consiglio se nella prima manciata di pagine dà la stura a questa storia con: agguato, collisione intenzionale, rapina a mano armata e conseguente sparatoria, corpi disciolti dal fuoco, lanci di bombe lacrimogene e un inaspettato tradimento?

L’episodio in questione riguarda il caso dell’assalto a un furgone blindato che trasportava una sbalorditiva quantità di smeraldi e contanti (le investigazioni ostinate alle quali assisteremo non produrranno risultati per molti anni). Intorno a questo misterioso evento, così minuziosamente pianificato, Ellroy fa ruotare l’intero plot, strabordante di personaggi fittizi e realmente esistiti.

Ma chi conosce bene il nostro è preparato ed allenato ad inquadrare i molteplici incroci di avvenimenti con i numerosi comprimari. Accenniamo ad alcuni di essi, che entrano in azione a quattro anni dalla rapina, nel 1968, poco dopo gli assassinii di Martin Luther King e Robert Kennedy (omicidi nei quali molte delle figure che incontreremo hanno vavuto un ruolo fondamentale).

Wayne Tedrow Junior è il re della chimica, l’esperto di droghe, il creatore della dose perfetta. Gli ambienti in cui vive vantano laboratori attrezzatissimi. Diventa l’uomo di fiducia dei Ragazzi: i temibilissimi mafiosi italo-americani Carlos Marcello, Santo Trafficante e Sam Giancana. Per essi avvicinerà, attraverso le sue allettanti proposte tossiche ed economiche, l’irredimibile strafatto, l’eugenista estremista, il vampiro mormone Howard Hughes, che non riuscirà più a separarsi dai servigi chimici di Wayne.

Donald Crutchfield è – Ellroy smentisce – una sorta di alter ego dell’autore, un inguaribile guardone, un instancabile segugio, un intercettatore tenace, un pervicace accumulatore di voluminosi e dettagliati dossier. Tra un’indagine e l’altra si dedica alla ricerca della madre scomparsa molti anni prima.

Dwight Chalfont Holly è il temuto anello congiunzionale, l’uomo sul campo, il vero erede di Pete Bondurant, una delle principali figure dei due capitoli precedenti, in questo – ahinoi – solo occasionalmente menzionato. Dwight è il braccio destro di un altro personaggio – questa volta reale – che ha movimentato l’intera trilogia: John Edgar Hoover, nonché il trait d’union col futuro Presidende degli Stati Uniti: “mister sincerità” Richard Nixon.

E poi: Jean-Philippe Mesplede, l’anticastrista per antonomasia, lo scotennatore di malcapitati cubani; Scotty Bennett, il super poliziotto cacciatore di negri (ha il vezzo di farsi ricamare sul cravattino scozzese che indossa il numero che indica i rapinatori uccisi); Marshall E. Bowen, il poliziotto nero che verrà infiltrato tra i neri.

E le donne, che hanno un ruolo nodale in molte delle pagine decisive dell’intero libro. Tutte affascinanti e mature, estremiste di sinistra, sostenitrici della propria causa come e più degli accaniti antagonisti razzisiti e anticomunisti. Tra queste, Joan Rosen Klein, affascinante “Dea Rossa” dalle mèches argentee; una figura dal passato misterioso che si renderà protagonista di una delle fortissime storie d’amore che nascono nel romanzo tra fascisti convinti e sediziose dai curricula anarchici.

Col procedere degli eventi emergerà in modo sempre più chiaro che i vertici delle fazioni opposte hanno in realtà un comune intento, quello di generare un caos gestibile, di far sì che da entrambe le parti non si degeneri. I modi per giungere a questo obiettivo dimostreranno quanto sia randagio il sangue, quanto si muova impetuoso il plasma per tutta la lettura, non solo quello versato ma anche quello che ribolle nelle accesissime passioni.

Ma è soprattutto una storia di profondo odio. La lotta spietata al comunismo del passato passa in secondo piano. Quello che interessa i poteri forti del periodo è una vera e propria campagna di profilassi contro l’inarrestabile avanzamento della militanza nera organizzata.

Hoover, l’intoccabile, l’uomo dal caveau contenente i segreti e i dossier più compromettenti del mondo, ha i sogni infestati dal fantasma di Martin “Lucifer” King e, anche se invecchiato, mostra energia da vendere, organizzando ai danni delle varie organizzazioni (Black Panthers, United Slaves, Alleanza della Tribù Nera, Fronte di liberazione Mau Mau) sabotaggi di ogni tipo.

Il compito non si rivela affatto difficile, grazie alle intuizioni e al fiuto del fidato Dwight Holly. L’immissione, tra le bande di contestatori, di abili infiltrati e di grossi quantitativi di eroina (la “grande E.”) renderà i tentativi di ribellione armata vani e poco credibili.

Nel libro gli sfondi non sono descritti minuziosamente come ci si aspetterebbe in un tomo così voluminoso. Ellroy, più che delineare le geografie e soffermarsi sugli scenari, inquadra gli stati d’animo, i trend, gli slang, le droghe, accennando ai locali alla moda e a quelli frequentati da gay (fonti inestimabili di scoop bollenti).

La sua voce sincopata, che riusciamo quasi a sentire nel corso della lettura, descrive gli stratagemmi e i mezzi usati dai protagonisti per deviare il comune sentire della popolazione, come pochi altri suoi colleghi riescono in opere di pura fiction:

L’opinione pubblica è combattuta tra esecrazione e morbosità

Gli uomini incaricati di perseguire questi illeciti intenti vivono in stanze le cui pareti sono ricoperte di pile di documenti scottanti; essi generano informazioni deviate e cacciano notizie reali, verità a prova di bomba. Creano e rendono credibili gli infiltrati, generando confluenze inaspettate nelle intercettazioni. Alle parole percepite ed estrapolate dalle conversazioni viene dato un senso, un collegamento. Ci sono più cimici in questo libro che in tutto il regno animale.

Ellroy racconta in modo credibilissimo quanto fossero già potenti in quegli anni le tecniche di sorveglianza, i sistemi d’intercettazione, i modi per alterare l’opinione pubblica: sono esilaranti i veri e propri sabotaggi architettati per ridicolizzare le apparizioni in pubblico del già di per sé goffissimo Hubert Humphrey, concorrente di Nixon alla corsa alla Casa Bianca.

Ma gli antieroi citati non soffrono di mal di testa continui solo per lo sforzo al quale sottopongono le loro orecchie nelle estenuanti ore passate ad ascoltare. L’occhio vuole decisamente la sua parte nel romanzo tutto. Ellroy ha dichiarato di essersi completamente immerso negli anni descritti, di averli più volte rivissuti, è come un regista guardone che penetra nei dettagli più intimi degli spiati di turno, svecchiando il voyeurismo alla Capote.

“Il Sangue è Randagio”, come accennato, è anche un lavoro saturo di droghe di ogni tipo, un libro altamente tossico. Tra le pagine ci imbattiamo in eroina, cocaina, erba, sonniferi, amfetamine, metaqualone, dexedrina, nembutal, seconal, fino ad arrivare al misterioso intruglio Vudù “poudre zombie” (il culto di Baron Samedi ha molto spazio nel libro), costituito da mix d’erbe dagli efetti imprevedibili, a volte rivelatori, in altri casi tragicamente esiziali. Insomma, chi più ne ha più ne metta. Ah, a proposito di chi ne metta: dimenticavo le supposte di morfina!

Al Teatro Litta di Milano, dove l’autore ha presentato il suo lavoro, è stato più volte tirato in ballo l’aspetto dostoevskijano dell’opera (delitti e castighi non si contano), anche se a lettura ultimata, nonostante gli abnormi sacrifici (soprattutto in termini di vite umane), si ha il sentore di un lieto fine latente. Ellroy, a conferma di ciò, ha dichiarato infatti che nella vita di un uomo la cosa più importante è essere amato da una donna, poiché al mondo non esiste altro.

Un libro epico e tragico, in cui i padri incitano i figli ad uccidere e i figli diventano parricidi, in cui la figura della donna materna emerge con prepotenza (un tòpos decisamente ellroyano: l’autore ha più volte ammesso di aver iniziato a scrivere a seguito dell’assassinio della madre), in cui assassini redenti vengono santificati, in cui:

La confusione morale fa da contrappunto alla tormentata vita interiore e alla quotidiana attitudine alla perversione

Se in Un Arancia ad Orologeria di Anthony Burgess le arance sono e resteranno sempre arance, alla fine della trilogia ellroyana i protagonisti mutano radicalmente. Non possiamo avere la pretesa di credere che ciò che ha scritto sia basato su fatti realmente accaduti, ma il gigante della fiction nera della sua opera ad orologeria descrive non la cassa, non il quadrante o le lancette e tutto ciò che riguarda l’aspetto esteriore, ne illustra invece il meccanismo interno, le complicazioni, i ruotismi, il funzionamento vero della società di quel periodo storico, lasciandoci con l’inquietudine e il sospetto di ciò che i poteri forti siano in grado di generare attraverso la tecnologia e i sistemi di manipolazione contemporanei.