Quello di Incubo di strada è un Derek Raymond diverso dal solito, con un tono marcatamente elegiaco e dolorosamente testamentario

Incubo di strada

Titolo: Incubo di strada
Autore: Derek Raymond
PP: 159
Editore: Meridiano Zero
Prezzo: 13,00

Kleber è un poliziotto del distretto di boulevard de Sebastopol, Parigi. Ha quarantaquattro anni, ama la notte e le persone sincere, fuma tre pacchetti di sigarette al giorno e beve tanto, soprattutto Kir.

Queste per inciso le caratteristiche principali del detective protagonista di Incubo di strada, il quale, in pochi giorni e senza alcun rimorso, si ritrova cacciato dal corpo di Polizia per aver aggredito un collega che voleva interferire con una sua indagine.

Privato di pistola e distintivo, a quel punto viene sbattuto in strada e catapultato improvvisamente in quel tessuto urbano lurido e cupo senza più nessuna protezione o autorità di sorta, fianco a fianco di quei criminali pronti a tutto pur di vendicarsi di lui.

Ma Kleber non teme niente e nessuno, se non la paura di perdere l’unica cosa per cui valga la pena vivere: la sua giovane moglie Elenya, una ragazza polacca ex prostituta con un passato infernale alle spalle e la cui vita fu salvata una notte da Mark, un criminale amico fidato di Kleber.

Anziché sfuggire agli eventi però, l’ex sbirro non si sottrae a nulla e, pur nella consapevolezza che la sua nuova e precaria condizione lo espone ad una pericolosa vulnerabilità, sceglie piuttosto di galleggiare con orgoglio in una sorta di costante equilibrismo tra la feccia di quel quartiere e il sublime amore per la sua donna, che rappresenta lo scopo stesso della sua esistenza, il fine ultimo della sua vita.

Equilibrismo tutto interiore e lirico quando la narrazione si muove tra gli echi della sua anima da un lato e le strade notturne, l’asfalto e le ombre fumose dei peggiori bistrò dall’altro (nelle pieghe d’ombra tanto care sia al noir classico che alla ben nota cifra stilistica di Raymond).

A quel punto l’esistenza di Kleber scorre facendo affidamento esclusivamente ai suoi valori personali, quelli consolidati nel corso di una vita passata tra la violenza, le ingiustizie della vita e la morte, vale a dire: la lealtà, il coraggio, la forza di volontà, il rispetto (quei valori di cui sono totalmente privi tutti i suoi ex colleghi e la società tutta, abbandonata ad un cieco e sfrenato ego).

Tuttavia, in una situazione di sconfitta apparente, Kleber può contare soprattutto su una dimensione altra, che è appunto quella del vero appagamento umano: l’amore totalizzante, incondizionato, eterno e corrisposto che egli prova per Elenya e che vive con lei giorno dopo giorno, in una sorta di redenzione quasi mistica.

In pochi giorni però accade un duplice tragico fatto: sia Elenya che Mark vengono barbaramente assassinati e Kleber, già in difficoltà dopo le vicissitudini professionali, vede svanire in pochi attimi sia l’Amore assoluto che la sua unica, vera amicizia. Ma è ovviamente soprattutto la morte dell’ amata a sconvolgere la sua esistenza.

A quel punto Kleber sembra pronto ad accettare qualunque destino pur di vendicarsi, anche se le circostanze lo vedranno trasformarsi lentamente e inesorabilmente da predatore a inconsapevole preda.

Dopo l’assassinio di Elenya infatti egli vacilla e non è più lo stesso: come mutilato di una parte di sé, trascina i suoi giorni a fatica e vive ogni istante arrancando e affievolendosi in realtà in una dimensione ineffabile e nebbiosa, offuscata dai suoi stessi angoscianti onirismi.

L’ex poliziotto finisce per ritrovarsi suo malgrado in una zona ineffabile della coscienza che lo proietta in una dimensione di dolore parallela, nella quale vive esperienze deliranti e spettrali, fatte di apparizioni e dialoghi surreali con lo spirito di sua moglie, che lo porteranno poco a poco, attraverso un’alternanza tra stati di lucidità vendicativa da un lato e una compassionevole allucinazione dall’altro, fino a un epilogo tragico dove il trionfo del dolore e il suo inevitabile destino (in fondo agognato), si tramutano in una lunga elegia, prospettata in una sorte quasi catartica.

Quello di Incubo di strada è un Derek Raymond diverso dal solito, senza dubbio. Rispetto ai titoli più noti dello stesso autore, come Aprile è il più crudele dei mesi o Il mio nome era Dora Suarez o ancora E morì a occhi aperti, la voce con la quale l’autore londinese ci racconta questa storia è certamente nuova e per certi versi singolare, se si fa eccezione per Come vivono i morti, opera nella quale Eros e Thanatos coesistono come in questo romanzo.

Dico diverso non tanto per il suo approccio al genere noir, come sempre originale e anticonvenzionale, né certamente per il profondo interesse, oserei dire liricamente morboso, per la dignità alla quale assurgono le vittime rappresentate nelle sue narrazioni (anche qui infatti, come in tutti i suoi romanzi, esse godono sempre di grande rispetto e nobilitazione umana); quanto piuttosto perché quest’opera, scritta nell’ormai lontano 1988 e pubblicata in Italia qualche settimana fa da Meridiano Zero, emerge un tono marcatamente elegiaco e dolorosamente testamentario, come se si trattasse di un ultimo grido di dolore elevato al cielo da parte di un uomo prossimo alla morte.