Indiana Jones e il Quadrante del Destino, la recensione di Andrea Andreetta. Indi c’è. Un po’ fan service, un po’ old school, ma diverte come ai vecchi tempi.
Prima di raccontarvi cosa ne penso di Indiana Jones e il Quadrante del Destino, la quinta prova di Harrison Ford nei panni di Indiana Jones, ecco un piccolo riassunto delle puntate precedenti.
Indiana Jones è una trilogia cinematografica che rappresenta un vero e proprio tesoro nel panorama del cinema d’avventura. Il protagonista di questa avventura è per l’appunto l’archeologo interpretato da Harrison Ford, il cui carisma e talento hanno reso indimenticabile il personaggio di Indiana Jones.
Alla ricerca dell’Arca perduta
Primo lungometraggio della trilogia è Indiana Jones e i predatori dell’Arca perduta, un film che ha catturato l’immaginazione di milioni di spettatori in tutto il mondo. La trama segue le avventure di Indiana Jones mentre cerca di proteggere l’Arca dell’Alleanza dalle grinfie dei nazisti durante la Seconda Guerra Mondiale. Questo film è un perfetto mix di azione, suspense e storia, che ci trasporta in un viaggio emozionante attraverso luoghi esotici e pericolosi.
Il Tempio Maledetto
La saga prosegue con Indiana Jones e il Tempio Maledetto, in cui Indiana Jones si trova ad affrontare un’antica setta malefica in India. Questo film è un tour de force di avventure avvincenti, ricche di colpi di scena e sequenze mozzafiato. Indiana Jones dimostra ancora una volta la sua abilità nel superare ostacoli, risolvere enigmi e combattere per la giustizia.
L’ultima Crociata
La trilogia si conclude con Indiana Jones e l’ultima crociata, un’epopea che ci porta in giro per il mondo alla ricerca del Sacro Graal. Questo film combina azione, avventura e un pizzico di mistero in una trama coinvolgente. Indiana Jones deve affrontare sfide mortali e risolvere intricati indovinelli per raggiungere il Sacro Graal prima dei suoi nemici. Menzione d’onore per uno Sean Connery in grande spolvero.
Poi ci sarebbe un quarto film, ma la sua bruttezza è esagerata per chiunque.
Il Quadrante del Destino
Ma torniamo a noi e al nostro quarto, sorry, quinto capitolo di una delle più importanti saghe cinematografiche della pop culture americana.
Non posso nascondere che la mia aspettativa era molto bassa, bassissima, sostanzialmente nulla, pertanto entrando in sala sentivo già la tristezza e il malumore serpeggiare in me, anche perché Indiana Jones e i predatori dell’arca perduta è tuttora un mio caposaldo cinematografico. Giusto per capirci, di quanto sia in fissa, a tutt’oggi continuo a citarlo nelle mie lezioni di grammatica cinematografica ammorbando studenti e non, inutilmente.
Indiana Jones e il quadrante del destino scrive una nuova milestone nel panorama cinematografico mondiale? No, voglio sia chiaro subito, ma è un film onesto che non si vende per quello che non è. Non cerca di fregarti con mirabolanti e pacchiani effetti speciali, non tenta forzature pindariche sul personaggio, ma anzi lo ridefinisce continuamente, Indi rimane Indi fino alla fine.
Fan Service? Forse, ma fatto benissimo
Per alcuni potrebbe essere un minus, per altri un palese fan service, di certo questo film delicatamente ha la capacità di mettere tutto insieme in maniera discreta, senza strappi.
Lunghe sequenze di inseguimenti alla vecchia maniera, una narrazione sempre accurata nei tempi, quasi maniacale, cosa alla quale ci hanno abituati il duo McCusker/Mangold in varie precedenti produzioni come Wolverine, Logan e Le Mans ’66.
Non a caso la scelta dei produttori esecutivi, Spielberg e Lucas ricade su James Mangold. Dopo varie vicissitudini che videro abbandonare il progetto di regia proprio da Spielberg si cercò un sostituto compatibile e dotato di un team già rodato. Mangold infatti, porta con se non solo Michael McCusker ma il suo fido direttore della fotografia, Phedon Papamichael.
Tutta gente con plurime candidature e vittorie a Oscar, BAFTA e altro, mica sconosciuti della prima ora.
Peraltro Papamichael dovette fare i conti con l’impronta fotografica di Douglas Slocombe che, nella trilogia originale rese iconica la sua gestione delle luci senza mai usare un esposimetro, navigando a vista con la regola The Sunny 16 (la regola Sunny 16 afferma che, nelle giornate di sole, ad un’apertura di F/16, la velocità dell’otturatore è l’inverso del valore ISO, ad esempio, se imposti la fotocamera a un’apertura di F/16 e ISO 100, la velocità dell’otturatore dovrebbe essere di 1/100 s. Questa è una delle regole di fotografia più facili da ricordare).
Al netto dei tecnicismi questo Indiana Jones a il quadrante del destino convince sotto tutti gli aspetti, anche quello del commento sonoro del maestro, vincitore di ben 5 Oscar, John Williams.
Indiana Jones torna in sella
Williams è sempre attento nel porre i giusti accenti senza mai esagerare, introdurre e incalzare, cavalcare e silenziarsi quando il montaggio lo richiede, posso solo dire che siamo al top che qualsiasi produzione possa avere senza se e ma.
Non ci rimane che parlare di trama, forse la più travagliata dopo i vari girotondi di Koepp ( già autore di Indiana Jones e il regno del teschio di cristallo) alla sceneggiatura e i continui cambi di direzione artistica.
Certamente una genesi travagliata che ha fatto impensierire i più, il sottoscritto era terrorizzato, per una pericolosa involuzione a mero fan service e come ho già scritto mi sbagliavo. Sicuramente Jez Butterworth marca il territorio e si vede un po’ di reminiscenze varie, da Edge of Tomorrow, Spectre e Fair Game tutte insieme appassionatamente a dare struttura al ritmo, bravo Jez mi hai tenuto sveglio senza tentennamenti.
Il film è diviso in quattro quarti, da manuale Spielberghiano, dove nel primo quarto ritroveremo un giovane Indiana Jones e la sua futura nemesi in un salto temporale al passato, nel secondo quarto la vecchiaia odierna con il pensionamento, per poi esplodere in una lunga corsa contro il tempo, in tutti i sensi, terminando con lacrimucce varie. Non voglio spoilerare più del dovuto, andate in sala e guardatelo al grande schermo.
Indiana Jones e il Quadrante del Destino: ci piace!
Dimenticavo il cast, l’invecchiato Ford tiene botta e fa la la sua parte, la figlioccia Phoebe Waller-Bridge convince, ma nulla più, John Rhys-Davies e Antonio Banderas sono apparizioni mistiche, il ragazzino di cui non ricordo il nome risulta il più inadatto e sottotono. Su tutti, forse, giganteggia il nostro super villain di turno, un Mads Mikkelsen physique du rôle perfetto per la parte.
In conclusione posso dire che darei un bel 7.5 a questo film avventuroso che mi ha fatto riassaporare la freschezza spavalda e molto ’80s di Indiana Jones e il tempio maledetto.
Forse con il senno di poi posso affermare che Mangold salva il duo Lucas/Spielberg, entrambi forse non più in grado di vedere il risvolto giocoso e disinvolto che Indy deve necessariamente portare con sé.