Inquisizione Michelangelo, la recensione di Linda Talato del romanzo storico firmato da Matteo Strukul e pubblicato da Newton Compton.
Titolo: Inquisizione Michelangelo
Autore: Matteo Strukul
Editore: Newton Compton
PP: 348
“Ogni scrittore parla di sé. Se è bravo, ti illude che parli di te.”
Io non so se questa frase di Antonio Schiena (Watson Edizioni) sia vera, ma di certo c’è molto di Matteo Strukul in Inquisizione Michelangelo, e l’autore, a mio modesto parere, si apre con i suoi lettori creando un clima quasi intimo e confidenziale. È come se ti stesse dicendo in continuazione: “devo raccontarti questa storia, ed è molto complessa. Cercherò di farlo meglio che posso”.
Il romanzo affronta uno spezzone della vita di Michelangelo Buonarroti, una finestra temporale di circa cinque anni in cui l’artista, ormai quasi settantenne, sta per ultimare la tomba di Giulio II, ma è di quel periodo anche la sua adesione al circolo degli Spirituali e la profonda amicizia con Vittoria Colonna, la Marchesa di Pescara.
Proprio tramite quest’ultima, Michelangelo conoscerà il cardinal Reginald Pole, figura di spicco in un periodo di profonda crisi all’interno della chiesa cattolica, insidiata dalle posizioni progressiste di chi propugna un rapporto diretto tra Dio e i fedeli, senza la tradizionale intermediazione della Chiesa.
La narrazione prende il via con un ritmo lento, quasi soave, e si suddivide sostanzialmente in due filoni: da un lato, l’amicizia affettuosa e pura, scevra di qualsiasi malizia, tra l’artista e la Marchesa, dall’altro le vicende di Malasorte, spia al soldo della cortigiana Imperia e personaggio femminile controverso, in cui lo stesso Strukul, nel corso di una presentazione tenutasi una decina di giorni fa a Polverara (PD), ha affermato di identificarsi. Col procedere della trama, le disavventure dei personaggi si intersecheranno al punto da creare un legame quasi indissolubile tra di loro, una specie di “fino alla morte”.
Come dicevo poc’anzi, in principio il lettore ha l’impressione di trovarsi di fronte a una lettura distensiva, rilassante, come un buon amico a cui tornare la sera dopo una giornata faticosa. Ed è per questo che si ritroverà letteralmente spiazzato quando, a circa metà della narrazione, Strukul cambierà di colpo le carte in tavola, imprimendo un ritmo totalmente diverso alla storia e creando un attaccamento emotivo ai personaggi tale per cui il lettore avvertirà il bisogno di sapere cosa succederà loro, e si sentirà in ansia quando Michelangelo tenterà ogni strada possibile per salvare la vita di Malasorte.
Tutto ciò, proprio quando ti stavi un po’ affezionando a quel rapporto poetico tra Vittoria e Michelangelo, a quello sguardo aperto sul mondo di Malasorte… Certo, sapevi che qualcosa sarebbe dovuto succedere, prima o poi, visti gli accordi tra Imperia, donna priva di scrupoli, e l’affascinante capitano dei Birri di Sant’uffizio, Vittorio Corsini, ma non credevi così.
Non in quel modo.
Strukul ha detto di non temere gli spoiler, perché lui scrive romanzi storici e non thriller, quindi un po’ tutti, in fondo, sappiamo come andrà a finire, no?
No.
O almeno, non io.
In realtà, in questo specifico caso lo spoiler è quantomai odioso, visto che quel finale non te lo aspettavi proprio. Però è anche doveroso, perché se non vi dico – per sommi capi – come va a finire, non capirete davvero il motivo per cui Inquisizione Michelangelo vale davvero, vale tutto, fino all’ultima parola dei ringraziamenti, e lo dice una cresciuta a pane e Ken Follett (lo ammetto) e che in ogni romanzo storico sente sempre un po’ la mancanza dello scrittore inglese.
Stavolta no.
– SPOILER –
Muoiono, muoiono tutti. Ok, quasi tutti, ora sto esagerando.
Muore Malasorte – forse nel peggiore dei modi in cui una donna potesse morire al tempo – muore Corsini, che, diciamocelo, non è proprio uno stinco di santo, però in fondo non meritava una fine così, non proprio quando aveva trovato l’amore! Muore la dolce Vittoria Colonna, e muore pure il cane, Ringhio, che, caspita, era quasi diventato lo Spettro della situazione (il metalupo di Jon Snow ne Le cronache del Ghiaccio e del Fuoco ndr)!
E Michelangelo si ritroverà dilaniato di fronte alla perdita di quelle che erano ormai diventate le donne della sua vita. Lui, che aveva dedicato all’arte ogni singolo respiro, ogni pensiero e ogni ora della sue giornate, rinunciando pure a farsi una famiglia, proprio lui finisce per sviluppare un attaccamento disperato nei confronti di Malasorte e Vittoria.
L’uomo, con il suo dramma, prima dell’artista.
“Rimase ad ascoltare il vento che non smetteva di ululare tra i palazzi: pareva recare le voci di quanti avevano inneggiato ai consoli e ai generali, agli imperatori e ai pontefici. Poi, per un istante, vi fu silenzio. E in quell’assenza, Michelangelo ritrovò i ricordi. E con essi, la volontà. Gli avevano tolto Malasorte. Avevano perseguitato Vittoria. Non gli avrebbero preso anche Roma. Si sarebbe battuto fino alla fine per lei, per quella città magnifica e ferita, avvolta nello splendore dell’arte, ma dilaniata dall’avidità del potere, celebrata nei poemi e ricattata dai calcoli politici, uccisa cento volte, ma sempre risorta nella gloria del tempo, nella Storia, nella memoria delle generazioni.”
A differenza di altri autori, Strukul non indugia nella descrizione certosina – e un po’ splatter – delle torture che l’Inquisizione infligge alle vittime, quasi per una sorta di pudore, di rispetto per il personaggio. E anche per il lettore, che è già amareggiato a sufficienza per le vicende di cui sta leggendo.
“Fu così che quando vide Malasorte sul carro, stretta nelle vesti lacere, ridotta pelle e ossa, i capelli neri che le ricadevano in avanti, le mani strette in ceppi dietro la schiena, in ginocchio, coperta dalla derisione e dagli sputi della moltitudine urlante e accecata dalla brama di morte e violenza, Michelangelo non riuscì a trattenere le lacrime.”
Questo passaggio, a mio modesto parere, e più di quel “i bambini vennero presto per assistere all’impiccagione. Era ancora buio quando i primi tre o quattro uscirono furtivamente dai casolari, silenziosi come gatti nei loro stivali di feltro”, incipit de I Pilastri della Terra, perché, il trovatore francese Jack, noi mica lo conoscevamo, in quel momento della storia.
È più di quando Joffrey Baratheon ordina di tagliare la testa a Ned Stark, perché in fondo, per il lettore di Martin, è come se Ned non fosse mai davvero morto. Ed è più anche di quando sgozzano Catelyn Tully, perché, diciamocelo, è un fantasy, e un po’ ce lo aspettavamo da Martin che facesse resuscitare qualcuno.
Qui nessuno resuscita. Malasorte viene sacrificata sull’altare dell’egoismo e del puro calcolo.
CRITICITÀ.
Ahimè, devo svolgere il mio compito di recensore fino alla fine, e rilevare anche alcune – poche – criticità, che tuttavia non inficiano in alcun modo la bontà generale del testo.
Ogni tanto ci sono improvvisi cambi del punto di vista all’interno della stessa scena, e forse potrebbero essere meglio evidenziati con un rigo bianco di separazione, che risulterebbe comunque meno invadente del cambio di paragrafo e degli asterischi centrali.
Le scene erotiche (poche, in realtà. Un paio, se non erro) le ho trovate migliori rispetto al primo della trilogia dei Medici, che ho letto anni fa. Intendiamoci, non sto dicendo che prima fossero scritte male, ma che ora le trovo meglio contestualizzate e più complete.
Nell’incontro amoroso tra Malasorte e Corsini, il lettore potrebbe avere l’impressione di trovarsi di fronte a personaggi un po’ stereotipati, ma leggendo il testo nel suo insieme si capisce come determinate caratteristiche, anche estetiche, fossero funzionali allo svolgimento della trama. Infatti, con la marchesa di Pescara – e con il rapporto di affinità elettiva esistente tra lei e Michelangelo – Strukul dimostra di saper costruire anche personaggi non stereotipati.
Insomma, concludo e non vado oltre nel voler trovare a tutti i costi il “pelo sull’uovo” in Inquisizione Michelangelo, un romanzo in cui l’autore ha dato il massimo. E si sente.