Inside Man di Spikee Lee oltre ad essere un solido action per adulti riesce a proporre una riflessione amara sul ruolo dell’economia e del compromesso nelle peggiori pagine della Storia.

Inside man si apre e si chiude con le belle note di “Chaiyya Chaiyya”, dal film di Bollywood Dil Se, cantata dal rapper anglo-indiano Punjabi Mc.

Inside Man

Scelta particolarmente azzeccata, perché è proprio il melting pot culturale, con le sue forti contraddizioni e le sue pericolose deflagrazioni interpersonali, uno dei temi centrali del film di Spike Lee.

Con Inside man, prodotto dalla Universal, il regista si è guadagnato l’accusa, da parte dei fan più integralisti, di essersi piegato ai voleri delle major. Accuse del tutto infondate. A parte il budget medio-alto (45 milioni di dollari), nel film non c’è assolutamente nulla del classico prodotto commerciale mainstream.

Spike Lee, uno dei pochi autori capaci di affrontare con la stessa efficacia opere colte e prodotti di genere, confeziona, infatti, un crime movie serrato e di gran classe, cesellato con maestria e ritmo perfetto, a partire dalla sceneggiatura ad orologeria dell’esordiente Russell Gewirtz.

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Si inizia, senza preavviso, con una sfrontata rapina ad una filiale di una importante banca di Manhattan. Un gruppo di uomini armati vestiti da imbianchini si introduce nella sede n. 32 della Manhattan Trust e, una volta scattato l’allarme per l’intervento di un agente di pattuglia, si arrocca all’interno sequestrando clienti e personale.

Sembra l’incipit di una storia destinata a sfociare nel sangue, ma, mai come questa volta, nella strana rapina (quasi) niente è come sembra.

Clive Owen, il capo dei rapinatori, Denzel Washington, il poliziotto in odore di corruzione nel ruolo scomodo del negoziatore, Willem Dafoe, a comando della SWAT intervenuta sul posto, Jodie Foster, influente avvocato, e Christopher Plummer, ricchissimo banchiere dal passato oscuro, compongono il cast di primissimo piano che consente a Lee di raccontare, con la scusa della rapina perfetta, un altro capitolo dello scontro e della convivenza forzata tra diverse classi e culture.

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Battute al vetriolo e dialoghi da antologia scandiscono magistralmente una giornata di ordinari conflitti razziali newyorkesi, mentre l’autore scherza con gli stereotipi e i comuni pregiudizi e, grazie alla scelta intelligente di anticipare flash di sequenze dal finale, si diverte a scompaginare cliché e prospettive, confondendo lo spettatore quasi completamente privato degli abituali punti di riferimento del genere.

Il racconto, liberato dai sicuri binari che spesso incanalano le classiche storie di rapine verso sviluppi più o meno prevedibili, riceve così una salutare boccata d’ossigeno e guadagna in peso drammatico e profondità d’analisi, trasformandosi, dal solido action per adulti che poteva limitarsi ad essere, in una riflessione disincantata e amara sul pesante ruolo dell’economia e del compromesso nelle peggiori pagine della Storia.

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