Fabio Beccaccini, autore ligure da anni “trapiantato” a Torino, è tornato in libreria con il romanzo Mentre Torino dorme, nuova avventura del suo commissario Giorgio Paludi. Socio fondatore dell’associazione Torinoir – Scrittori noir di Torino e dintorni, Beccacini è una delle penne che meglio hanno saputo descrivere attraverso il genere i cambiamenti che hanno caratterizzato Torino negli ultimi anni, affiancando a storie sempre intriganti un attento sguardo sociale.
Intervista a Fabio Beccacini
Mentre Torino dorme è il quarto caso del commissario Giorgio Paludi. Come mai hai scelto di sviluppare un personaggio seriale?
Non l’ho scelto, Torino l’ha scelto per me. Pensavo fosse una storia da una botta e via e invece ci abito da più di dieci anni. Migliaia di notti di lavoro, faccio il dj, e appostamenti, insieme al commissario, per stanare il lato oscuro della città. Quello che preserva, e regala intera, la sua bellezza. Giorgio Paludi, questo ‘alter ego’ di due metri che mi porto dietro come un ombra dalla Liguria, sta diventando un compagno. Più che un personaggio seriale, è uno a cui affido il compito ingrato di perlustrare i miei luoghi oscuri.
Come ho scritto nella recensione, se nei primi romanzi Paludi ricorda un poliziotto stile hard boiled negli ultimi due episodi della serie mi sembra che il tuo commissario sia sempre più assimilabile ai protagonisti malinconici del noir mediterraneo. Condividi questo mio pensiero? Se sì, che cosa ti ha spinto a svoltare in questa direzione?
Non solo lo condivido. Ma da Ultimi Fuochi in poi, lo speravo. Era ora che il commissario si affrancasse dagli stereotipi del poliziesco, seppur cosi cinematograficamente stimolanti, per raccontare la sua natura mediterranea. In un certo modo era ora che mostrasse il suo carattere ereditario. Era mia intenzione farlo uscire dal chiaro scuro delle sparatorie, e delle indagini, per definirlo meglio come uomo, e come padre mancato. E come amante, inaspettatamente passionale, e recalcitrante al contempo.
A parte la differenza anagrafica, quanto c’è di Fabio Beccacini in Giorgio Paludi?
La differenza sta in quell’ombra, a cui ho accennato nella prima risposta, smisuratamente alta. Un controluce che potrebbe ricalcare il mio, amplificandone la sagoma. Inutile nascondere che le storie mi crescono addosso, la biografia è una cartina stradale precisa delle trame dei mie romanzi. Va da sé che nella finzione narrativa la biografia si nutre della cronaca nera, dei cambi di programma che la vita offre in quantità. E li fa esplodere in un caleidoscopio dove diventa impossibile capire -per fortuna!- quanto c’è di Fabio Beccacini e del commissario genovese.
I tuoi romanzi, oltre ad essere gialli avvincenti, raccontano i cambiamenti che Torino ha vissuto negli ultimi anni. Qual è il tuo rapporto con la città?
Un combattimento sul ring. Mi è sempre piaciuto mettermi in gioco. E sul ring si danno e si prendono. L’importante è rispettare le regole. Non le ho mai risparmiato nulla, a Torino, e l’ho odiata, soprattutto i primi tempi, con determinazione. Le ho chiesto risposte importanti, e lei ha preteso che scendessi gli scalini uno ad uno. Quelli dell’intimità. Solo lì in fondo, ho potuto trovarla davvero. Ed iniziarla ad amare. Sotto l’acqua scura dei Murazzi, nelle ombre nere dei contro viali alberati, nei sottobicchieri macchiati di umidità. Negli incontri clandestini; inaspettati.
Torino è a tutti gli effetti una città multietnica ed i suoi confini sembrano farsi poco a poco più indefiniti in una grigia periferia di centri commerciali e zone industriali. Credi che il capoluogo piemontese stia in qualche modo perdendo la sua identità?
No, affatto! Semplicemente credo che non l’abbia ancora trovata. Gli sforzi per prendere una nuova direzione sono stati inequivocabili, negli ultimi vent’anni, la città è cambiata. È innegabile, ma prima di riuscire a trovare la sua nuova strada, e di percorrerla con sicurezza come dovrebbe e meriterebbe, mi pare sia scivolata in un impasse, un invecchiamento precoce. Torino è disorientata, di fronte ai continui cambiamenti a cui è stata sottoposta, alle nuove migrazioni multietniche… ecco, in questo la vedo in difficoltà. Derisa spesso da miopie politiche, dalla mancanza di vera progettualità, che sia svincolata dai sondaggi e dalle campagne elettorali fondate su spuri slogan che non lasciano nemmeno il tempo che trovano. Anzi, lo rendono peggiore di quel che è. Ma Torino ne uscirà, a testa alta, e con le ossa rotte.
Il romanzo racconta una criminalità trasnazionale con traffici che coinvolgono organizzazioni di tutto il mondo. Anche la malavita si è “globalizzata” e messa al passo coi tempi?
La criminalità molto probabilmente li ha precorsi, i tempi. E ha sfruttato, traendone smisurato vantaggio, le opportunità che la globalizzazione ha fornito. Le attività illecite producono enormi quantità di contante in nero che è necessario riciclare, e reinvestire, almeno in parte in attività lecite. E poterlo fare dall’altra parte del mondo, o anche soltanto all’estero rende molto più problematico controllarne la provenienza. E cosi giorno dopo giorno la mafia si è sbiadita, dal nero, degli affari che perpetrava, si è riciclata in grande stile, in giacca e cravatta. In quell’area grigia di faccendieri, puttane, e corrotti. Gente disposta a chiudere un occhio per una fetta della torta. A volte disposta a chiuderli tutti e due e a vendersi anche la madre.
Mentre Torino dorme ha una trama molto complessa: tanti personaggi, tanti luoghi, tante storie che si intrecciano. Ti chiederei di svelarci qualcosa sul tuo metodo di scrittura.
Avete presente le pareti ingombre di mappe, post-it, fotografie, tipiche di ogni film sulla caccia a qualche killer delle pellicole americane? Così diventano sempre anche i muri di casa mia, quando sono al lavoro. Devo indagare insieme ai miei personaggi. Cercare di costruire un’identità per ognuno di loro. E infine aspetto di sorprendermi, spero che i personaggi mi suggeriscano percorsi eccentrici, facendomi deragliare dalla scaletta (che mi guida nella stesura come una stella polare) per regalare un ultimo colpo di scena (si spera) credibile ai miei lettori!
Sei uno dei membri fondatori di Torinoir-Scrittori noir di Torino e dintorni, un’associazione culturale formata da autori di storie giallo-noir molto attiva sul territorio. Potresti raccontarci qualcosa di questo interessante progetto?
Siamo un manipolo di scrittori che racconta la città da punti di vista molto differenti. Questa nostra eterogeneità crea molteplici possibilità di lettura, una cifra, caratteristica fondante di Torinoir. Molte teste, molti stili, una sola grande passione: il criminale. Da un paio d’anni facciamo squadra, ci confrontiamo, sperando un giorno di poter fare “scuola”.
Concludo chiedendoti qualche consiglio per i nostri lettori. Quali sono un romanzo, un film ed una serie televisiva che raccomanderesti senza riserve agli amanti del giallo-noir?
Abbiamo parlato molto: servono tre colpi di pistola che vadano a segno. Venere Privata di Giorgio Scerbanenco. I soliti sospetti di Bryan Singer. Braquo di Olivier Marchal. E come disse il maestro, grazie di essere venuti fin qui. Ci si vede presto dietro l’angolo, al buio.