Intervista a Massimo Carlotto
Massimo Carlotto, padovano, è tornato in libreria in questi giorni con “L’amore del bandito”. Dopo libri bellissimi e disperati come “Nessuna cortesia all’uscita” e “Il maestro di nodi” ritroviamo Marco Buratti, l’Alligatore, detective privato senza licenza che si muove in un Nord Est che puzza decisamente di marcio. Carlotto, che con le sue storie e i suoi personaggi indimenticabili è diventato uno degli scrittori di noir più letti ed amati d’Europa, è senza dubbio uno dei padrini spirituali del movimento Sugarpulp: non potevamo quindi non approfittare del suo nuovo libro per fare quattro chiacchiere con lui.
Massimo, il ritorno dell’Alligatore è coinciso con il tuo ritorno a Padova: ne “L’amore del bandito” però Marco Buratti, dopo due anni di lontananza da Padova, sembra quasi non riconoscere più la sua città: è la stessa sensazione che hai provato tu in questo ultimo periodo?
Ho voluto soprattutto evidenziare il senso di disorientamento che colpisce molta gente nel Nordest, dovuto alla difficoltà di riconoscersi in un territorio sempre più investito da fenomeni di crisi sociale ed economica che rendono difficoltosa, complicata e triste l’esistenza. La marginalità di Buratti è un punto di vista privilegiato per raccontare questa realtà che non coincide più di tanto con il mio ritorno a Padova, città che di fatto non ho mai abbandonato.
Il Veneto che racconti è un “mercato fiorente” per malavitosi di ogni tipo e per imprenditori senza scrupoli: possibile che questa regione ormai sia soltanto un mercato? Per non parlare del lato politico della faccenda: il Veneto dagli anni ’60 in poi è stato un eccezionale laboratorio politico, in cui sono nati movimenti importanti nella storia italiana, soprattutto in chiave extraparlamentare: possibile che ora l’unica proposta politica di questa regiona sia quella della Lega?
La Lega è sintomo del disagio profondo di un territorio che non ha saputo valorizzarsi ma si è imbarbarito rinunciando anche alla propria storia migliore. La realtà è spietata. Essere un crocevia geografico ci ha trasformato in terra di conquista e in un laboratorio dove economia legale e illegale si sono felicemente incontrate arrivando a diventare un vero e proprio modello di sviluppo. Altri valori meno nobili come denaro, potere e successo hanno sostituito quelli dell’utopia e della sperimentazione politica.
I tuoi personaggi in più di un’occasione esprimono giudizi molto duri sul Nord Est, soprattutto Marco Buratti che si lancia in uno sfogo profondo e sincero, uno sfogo che secondo me toccherà nel profondo i tuoi lettori (soprattutto chi vive in Veneto in particolare e a Nord Est in generale)
Sfogo che è oggetto di dibattito in ogni presentazione, anche fuori dal Veneto. I lettori si interrogano sulle contraddizioni di una regione così ricca da risentire meno delle altre della crisi economica eppure tristemente nota per fenomeni di xenofobia e grettezza figlie di una cultura minore e recente. D’altronde compito del noir è raccontare la realtà che circonda la storia criminale che svolge il ruolo di cuore pulsante del romanzo.
Quando vedremo Marco Buratti al cinema, o in tv? Sarebbe un personaggio perfetto… o forse è troppo scomodo?
Ci hanno provato in tanti e ora ci stanno riprovando. Il limite “televisivo” del personaggio è il suo non essere rassicurante, condizione essenziale per essere gradito alle reti e soprattutto agli sponsor. Insomma è troppo scomodo. Però non abbandono la speranza. Mi piacerebbe vedere l’Alligatore in tv.
Nei tuoi libri veniamo a contatto con il lato deviato del multiculturalismo: mafie etniche che campano sulla pelle dei disperati, che stringono accordi con tanti insospettabili e che sono profondamente radicate nel territorio. È ancora troppo presto per raccontare storie di immigrazione “normale”?
Il Veneto è la regione con il maggior numero di immigrati d’Italia, la maggior parte dei quali ormai è decisamente integrata (moltissimi parlano in dialetto!): perché è così difficile per loro trovare visibilità?
L’immigrazione radicata e legale non è culturalmente riconosciuta. Lo sarà solo quando non sarà un problema la libertà religiosa e una moschea non sarà più oggetto di polemiche. Quando le culture immigrate rimangono a lato della società, prive del diritto di cittadinanza sono di fatto clandestine. In Francia, in Germania e in altri paesi europei non è così. Quando voglio rilassarmi a Parigi vado a bere un the al bar del centro culturale islamico e il rispetto è reciproco, innato e profondo. Io sento il bisogno di conoscere “l’altro” che è venuto a vivere nel mio territorio, di scambiare messaggi ed esperienze culturali. In Veneto questo oggi è impensabile. In Sardegna invece il clima è sereno e la convivenza è un progetto “possibile”.
Quello che mi ha sempre colpito in molti tuoi libri, e ancor più in questo, è il ritratto impietoso che fai delle persone così dette normali: tutte marce. Nel tuo ultimo romanzo però ci sono dei segnali positivi: i gruppi civici che vogliono cambiare le cose dal basso, un avvocato che si rifiuta di andare oltre… insomma, ci sono speranze anche per “questo” Veneto?
Sì. il marcio c’è ed emerge tristemente dalle cronache ma la parte sana e maggioritaria della società può imporre altre culture e altri modelli di sviluppo. Credo che oggi sia prioritario salvaguardare il territorio, questa terra bellissima non merita altri scempi e può offrire un futuro migliore. Per tutti. I primi segnali di ripresa e di riscossa morale sono evidenti. Fiducia e speranza devono far parte del nostro agire. In attesa di tempi migliori.