Paolo Bacilieri è uno dei grandi maestri del fumetto italiano: Giovanni Fioretti lo ha intervistato in esclusiva per Sugarpulp
Paolo Bacilieri è nato a Verona nel 1965. Diplomato presso l’Accademia di Belle Arti di Bologna, lavora nel mondo dei comics dal1982. Tra i suoi lavori Barokko, Durasagra-Venezia uber alles e The Supermaso Attitude. Ha creato le avventure di Zeno Porno, sceneggiatore di fumetti Disney ex-agente della Cia, le cui vicende oniriche ambientate nell’Italia del nord-est sono state raccolte nei due volumi “Zeno Porno” (2005) e “La magnifica desolazione” (2007). Ha lavorato per le testate “Napoleone” e “Jan Dix” dell’editore Sergio Bonelli. Nel 2012 ha realizzato la graphic novel “Sweet Salgari”.
Ciao Paolo, innanzitutto grazie per essere stato graditissimo ospite alla nostra seconda rassegna Sugarpulp Schio.
Grazie a voi, grazie veramente. È stato bello!
Sweet Salgari, il tuo ultimo lavoro (pubblicato da Coconino Press nel 2012) rappresenta una sentita biografia a fumetti dedicata ad un narratore particolare, che ha raccontato nei suoi libri di terre esotiche e avventure sbalorditive per i suoi tempi, pur non avendo mai intrapreso viaggi fuori dall’Italia. Come nasce la scelta di una graphic novel sulla vita di Emilio Salgari?
I ricordi sono sfumati dal tempo. È un progetto che mi sono portato dietro per anni, più di dieci anni, non esagero. Mi ricordo che era il 2001, mi pare, quando a Lucca venne il fondatore della Coconino, Igort, a chiedermi se avevo qualche progetto da proporre alla sua allora nuova casa editrice. Io gli parlai di questo progetto che avevo in mente e che mi sarebbe piaciuto un giorno riuscire a sviluppare, una biografia di Emilio Salgari. Igort disse: “Ah, bellissimo, facciamolo!” e l’abbiamo fatto, ma dodici anni dopo, nel 2012, quindi devo dire che è stato anche un editore estremamente paziente.
Sweet Salgari nasce probabilmente dalla familiarità con l’opera di Salgari. Io sono cresciuto in Italia negli anni Settanta e forse noi siamo stati l’ultima generazione a leggerlo in maniera virale, cioè a leggerlo non indotti scolasticamente o didatticamente ma a leggerlo come si leggono i fumetti. Lo leggevo perché c’era in casa, leggevo le edizioni di Salgari di Vallardi. Mi ricordo che i primi Salgari che ho preso in mano sono stati probabilmente quelli; poi giravano queste bellissime edizioni Mondadori degli anni Settanta curate da Mario Spagnol, che erano piene di illustrazioni ed erano proprio delle opere multimediali con un sacco di informazioni.
Per non parlare poi del Salgari televisivo, di Sandokan, che allora naturalmente noi ragazzini adoravamo: non ci perdevamo una puntata e storpiavamo la sigla in maniera oscena. Quindi c’è una familiarità con l’opera e poi scoprendo la dicotomia che c’era tra questo omino dimesso e l’enormità dell’opera sterminata che ha lasciato sono rimasto colpito da questa distanza siderale che c’era tra la sua vita reale, e spesso tragica come è noto, e quella avventurosa ed eroica dei suoi romanzi. Salgari era anche un bugiardo, uno che raccontava di essere stato dove erano ambientati i suoi romanzi. Era un bugiardo professionale, direi, un passo ulteriore rispetto al bugiardo patologico. Obbligato a sognare, diceva Giuliano (Piccininno, n.d.r.) durante la presentazione a Schio, definizione perfetta, oltre che bella.
Ho scelto di raccontarlo in maniera onesta, quasi familiare, da lì anche il titolo affettuoso. E’ un po’ un antenato di noi che facciamo questo mestiere.
Anziché illustrare le memorabili storie tra giungle, corsari e belve feroci hai deciso di raccontarci le avventure quotidiane di Salgari. Come mai questa scelta intimista e un po’ dolce-amara?
A questo libro sta bene la definizione di graphic novel. Senza la piega che hanno preso i fumetti negli ultimi anni forse non esisterebbe neanche questo libro. E’ giusto quello che dici, è una storia intima quella che ho fatto. È la storia di un uomo e della sua vita familiare e professionale, non ci sono né avventure esotiche né altro. È ambientato nell’Italia di un secolo fa e mi interessava anche rappresentare questo ambiente, la stupenda e miserabile Italia di allora, molto più pericolosa e distante da noi che la giungla vera. Non a caso ogni capitolo è aperto da stralci di opere salgariane accompagnati a paesaggi molto italiani.
Leggendo il volume è impossibile non stupirsi per le minuziose architetture e gli splendidi palazzi che hai ricreato su tavola. Raccontaci un po’ come ti sei documentato e che tipo di ricerche hai svolto al riguardo.
È una cosa che faccio sempre: nei miei fumetti cerco di dare all’ambiente la stessa importanza che hanno i personaggi. È una questione per me di democrazia, non mi va che i personaggi prendano tutta la scena e che l’ambiente sia “tirato via”. Trovo che l’ambiente sia altrettanto importante. In ogni lavoro che faccio cerco di documentarmi su architettura, ambienti, alberi che mi piace molto disegnare. In questo caso l’ambiente era l’Italia di un secolo fa, quindi sono andato senz’altro a procurarmi libri su foto d’epoca, etc. Per fortuna c’è anche il web che aumenta esponenzialmente le possibilità di trovare materiale tipo cartoline e foto d’epoca, che altrimenti dovresti cercare chissà dove. Il web è fantastico sotto questo punto di vista.
Avevo anche sviluppato una sorta di malattia per cui quando si trattava di disegnare una veduta cittadina andavo a cercare proprio quelle vedute e quei luoghi che spesso non esistono più, che sono stati completamente cancellati dal tempo e totalmente rivoluzionati nel corso dell’ultimo secolo. Mi sembrava giusto ricreare questa Italia esotica di un secolo fa.
Facciamo qualche passo indietro. Quali sono gli autori che più hanno influenzato il tuo modus operandi, nel corso degli anni?
Questa è una domanda complicata perché sono tanti. Io, come ti dicevo, sono cresciuto nell’Italia degli anni Settanta, e penso di essere stato molto fortunato perché già da bambino mi piacevano molto i fumetti, in casa mia c’erano i miei fratelli che leggevano e quindi giravano diversi fumetti. In quel periodo in Italia credo che si facessero per ragazzini come me fumetti bellissimi di autori tra i più bravi del mondo. È proprio da ragazzino che ho conosciuto autori come Hugo Pratt: la prima storia che ho letto di Hugo Pratt l’ho letta sul Corriere dei Ragazzi a 7-8 anni, mi ricordo, era una storia di Corto Maltese, “Teste e funghi”, interrotta ogni tanto dalle pubblicità dei soldatini Atlantic piuttosto che di Cicciobello, però anche così era sempre una storia di Corto Maltese, bellissima, con quella straordinaria capacità che aveva Pratt di mettere in storie convenzionali e avventurose una sincerità che nessun altro aveva. Quindi questa sincerità era impossibile che non passasse, anche per il ragazzino che ero allora era affascinante, stupefacente.
Ma non c’era solo Pratt: c’era Dino Battaglia, c’era Sergio Toppi, c’era Attilio Micheluzzi, c’era Jacovitti che faceva cose fantastiche, c’era Massimo Mattioli. Insomma quello dell’editoria dei fumetti era un mondo in quell’epoca ricchissimo e che si rivolgeva ancora soprattutto ad un pubblico di ragazzi. Io sono senz’altro rimasto segnato da questo background e tutt’ora me lo porto dietro. Poi approfondendo le conoscenze e, da buon veneto di retaggio cattolico quale sono, direi che ho sviluppato questa personale trinità: Hugo Pratt e Carl Barks come fissi ed una terza postazione mobile occupata di volta in volta da grandi autori quali Osamu Tezuka, Crepax, Moebius, Will Eisner, Art Spiegelman o Chester Gould. Quindi ci sono due posti fissi e uno mobile nella mia trinità.
E se ti dico Pazienza e Manara?
Se mi dici Pazienza e Manara mi dici due nomi molto importanti nella mia vita. Manara è stato senz’altro un autore importante che ho conosciuto da ragazzo quando facevo il Liceo Artistico. L’ho conosciuto sulle pagine delle riviste di fumetti che abbondavano a quei tempi, in particolare si trattava di Totem. Poi l’ho conosciuto personalmente dopo aver scoperto incredibilmente che Manara abitava a due passi da casa mia in Valpolicella. Ho quindi fatto il classico pellegrinaggio del giovane autore, avevo all’epoca sedici anni e sono andato dal maestro a far vedere i miei lavori. Come dire, ho fatto la visita di leva, abile e arruolato.
Milo è stato molto gentile e io lo ringrazierò sempre per avermi portato al mio primo Festival di Lucca, nei primissimi anni Ottanta, con il suo fantastico camper. Mi ricordo che eravamo a tavola con un signore che si chiamava Hugo Pratt e Milo diceva di sentirsi come il Conduttore del carro che a mezzanotte va a prendere i ragazzini per portarli nel paese dei balocchi. Era proprio così! Mi sono trovato di botto tra i grandissimi, quelli che amavo di più al mondo. Uno di questi era Andrea Pazienza: è stato per quelli della nostra generazione un autore straordinario perché era il più bravo, il migliore di tutti e non solo, ma anche il più giovane di tutti e il più bello e il più divertente di tutti e quindi non c’era proprio partita. Però per amarlo completamente bisognava probabilmente avere sedici/diciotto anni, ed era l’età che avevamo noi allora, quindi lo amavamo alla follia, un privilegio che abbiamo noi italiani perché purtroppo fuori dall’Italia Pazienza è quasi sconosciuto, soprattutto per le difficoltà che ci sono nel tradurre una cosa così ribollente come il suo linguaggio.
Una mia curiosità personale: cosa ne pensi di Gianluca Lerici, alias Professor Bad Trip, compianto artista underground?
Ho un ricordo personale di Gianluca perché ci è capitato di lavorare per la stessa casa editrice per un breve lasso di tempo, si trattava della Restauri e Ristrutturazioni e abbiamo fatto un Lucca Comics insieme intorno alla metà degli anni Novanta. Ho un ricordo di una persona dolce, di una persona molto simpatica e bella che viveva ad una certa siderale distanza dalla grettezza del mondo dei fumetti dell’epoca. Credo di avere non solo qualche libro suo in biblioteca ma anche nell’armadio una sua vecchia maglietta.
Un personaggio ricorrente ed emblematico dei tuoi fumetti è Zeno Porno, ex giovane, ex agente della C.I.A., ex marito… Da dove nasce? Oltre all’evidente somiglianza nell’aspetto fisico, cosa rappresenta per te Zeno?
Zeno Porno nasce, e da lì il nome imbarazzante che si ritrova, sulle pagine di una rivista che si chiamava Blue: era un mensile di fumetti erotici, però l’editore di Blue, Francesco Coniglio, era un editore illuminato, il quale dava spazio anche ad autori che non facevano strettamente fumetti erotici e quindi avevi la libertà di non fare tette e culi ad ogni pagina, non era una cosa da poco. L’idea mia era quella molto semplice di ruotare la camera di 180° rispetto all’erotismo, alla pornografia e mettere in primo piano uno che consuma l’erotismo e la pornografia, cioè uno Zeno Porno. In origine doveva essere un personaggio cupo, sinistro, anche greve, doveva avere un’aria un po’ da Harvey Keitel, me lo immaginavo così.
Il modello era Il Cattivo Tenente, quindi figurati quanto ero distante da quello che poi è saltato fuori, uno che, e qui l’imbarazzo aumenta, aveva anche la mia faccia! Questo è il bello dei personaggi, alle volte sono loro che chiamano te. Zeno subito ha deviato dal percorso programmatico che avevo in mente per lui e ha iniziato a vagare nella mia biografia personale e in un sacco di altri settori che fino ad allora non avevo mai esplorato. Il bello di questo personaggio è questa sua adattabilità imprevedibile, infatti riesce a tirare dentro nelle sue storie un po’ di tutto. Quindi continuo ad usare Zeno, specialmente nelle storie che riguardano la quotidianità, Milano, il Weneto, etc: a me piace fare fumetti di diverso genere, ma questo è un tipo di racconto che voglio continuare a fare e quindi continuerò ad usarlo.
Nel 1999 hai iniziato a collaborare con la Sergio Bonelli Editore come disegnatore di alcune storie di Napoleone e Jan Dix. Raccontaci un po’ questa esperienza con le pubblicazioni seriali.
Alla fine degli anni Novanta frequentavo Milano, in particolare lo studio di Carlo Ambrosini e di Enea Riboldi. C’erano anche Giampiero Casertano e Pasquale Delvecchio, insomma uno studio di fumettisti vero e proprio che tuttora esiste. Con mio grande stupore ad un certo punto, con Enea Riboldi che ha fatto da tramite, Carlo Ambrosini mi ha chiesto di fare delle prove per il suo personaggio, Napoleone, che era uscito da qualche mese. Io, pur essendo cresciuto con i fumetti Bonelli, infatti i miei fratelli leggevano Tex, Zagor, Mister No (uno dei miei fumetti preferiti in assoluto), non avrei mai pensato di riuscire a lavorare con loro, mi ritenevo troppo distante.
In realtà le cose sono andate diversamente, sono andate bene, credo proprio per questo mio “DNA bonelliano” assorbito in tenera età. Con un personaggio come Napoleone è stato più facile, c’erano meno responsabilità rispetto a Dylan Dog o personaggi più rappresentativi. Era un personaggio laterale che quindi permetteva una maggiore libertà ed un maggior tasso di sperimentazione.
Da qualche anno vivi e lavori a Milano, ma resta forte il tuo legame con il Veneto, che ritorna spesso come ambientazione dei tuoi fumetti. C’è qualcosa di speciale che ti affascina della tua regione d’origine?
(Risata n.d.r.) Sì, adesso mi farò crescere la barba, una barba di almeno trenta centimetri e ti parlerò di quanto è importante Jasnaja Poljana per me. Il Veneto è questo per me, le radici. Meneghello ha espresso con una parola bellissima inventata da lui, il “dispatrio”, cioè togliersi di dosso i panni di casa. Allontanarsi un po’ significa capire quanto bello è il posto da dove vengo e che caratteristiche ha. Mi è rimasto dentro e penso che sia importante avere un luogo dove tornare ogni tanto. Con tutti gli sconquassi ed i cambiamenti che ci sono stati rimane Jasnaja Poljana per me, quindi è un posto comunque con il quale fare i conti.
Come vedi l’attuale panorama fumettistico italiano?
E’ un bel periodo ma è un momento in cui c’è crisi, è sempre più dura e la trasformazione dal supporto cartaceo a quello elettronico è lenta ma inevitabile. In Italia abbiamo la fortuna di avere una sorta di privilegio della retroguardia come Bonelli che ancora fa dei fumetti in bianco e nero su cartaceo. È una cosa quasi inconcepibile ma bellissima per me, appunto perché amo fare fumetti in bianco e nero. In questo momento di grandi cambiamenti ci sono anche autori bravissimi che escono fuori e fanno cose bellissime. Ho appena visto l’ultimo libro che ha fatto Manuele Fior ed è straordinario. Insomma, un periodo di grosse trasformazioni in cui nel casino noi italiani, ed è una nostra caratteristica, riusciamo anche a fare cose belle.
Che progetti hai in cantiere per il futuro?
Sto lavorando a due cose: per la Bonelli ad un western, cosa che sogno di fare da una vita e quindi sono contento di fare questa storia, scritta da uno sceneggiatore che si chiama Fabrizio Accattino e che ho appena cominciato a disegnare. Poi sto preparando un libro che spero di riuscire a finire entro quest’anno o al massimo l’anno prossimo, è un libro farcito, ossia contiene un sacco di storielle brevi che ho fatto nel corso degli ultimi anni, in cui spesso compare Zeno Porno. Queste storielle però sono inserite dentro una grande storia, che è la storia del cruciverba. Infatti il titolo del libro sarà Fun, che in inglese significa divertimento ma che è anche la prima parola che è stata scritta su un cruciverba moderno nella storia.
Il cruciverba è nato negli Stati Uniti un secolo fa, curiosamente sullo stesso giornale dove sono nati anche i fumetti, ossia il New York World, che pubblicava Yellow Kid. È stato inventato da un signore inglese, Arthur Winnye che lavorava sull’inserto domenicale e che si è inventato questo incrocio di parole. La storia partirà da qui per poi giungere alla quotidianità di Zeno a Milano, raccontare il suo morboso rapporto con la Settimana Enigmistica, ma non solo. Parlerà dell’Italia di oggi, il cruciverba è un magnifico pretesto per dare un’occhiata a come sta Zeno e non solo.
Ti ringrazio moltissimo per l’intervista e ti faccio i miei migliori auguri per il futuro.
Grazie a te Giovanni, grazie a Sugarpulp e a Schio. È stata veramente un’accoglienza bellissima.