Autore di successo e traduttore dei grandi big come Don Winslow e Joe Lansdale, Alfredo Colitto si è ritagliato un posto di primo piano nel mondo letterario italiano.

Alfredo Colitto ha sciacquato in Arno i panni sporchi di sangue di autori come Winslow, Lansdale e Freeman; ha tradotto anche la biografia di Hilary Clinton (evitate battute su eventuali panni smacchiati dalla Sig.ra Clinton). Da scrittore, ci ha regalato la thrillogia medievale che narra le imprese del medico anatomista Mondino de’ Liuzzi, tradotta (da altri) in 7 lingue e pubblicata in 21 paesi. Ma, da che mondo è mondo, al Medioevo segue il Rinascimento dell’epoca coloniale: il nostro Colitto lascia il thriller e ci sobbalza tra Napoli e il Messico con La Porta del Paradiso. È un romanzo storico d’avventura pieno di passioni, naturalmente destinato alla migliore tradizione della grande narrativa popolare, che tanto piace a Sugarpulp.

Abbiamo invitato Alfredo a Schio perché ci raccontasse di questo libro. Insieme a lui, abbiamo sviscerato, musicato, letto e illustrato alcuni passaggi, aspetti e personaggi. È stata una bella presentazione di un libro bello, la prossima volta venivateci o rimediate leggendolo. Dopo aver nutrito la nostra curiosità sul romanzo, ci siamo fatti un po’ gli affari delle multiple personalità del suo autore.

Per il traduttore traditore. Leggendo il tuo bel “La porta del paradiso”, s’inciampa spesso nell’affascinante tema del tradimento. Tirando la cosa un po’ per i capelli, mi chiedevo se non fosse per lo scalpitio della fedeltà per tutte le cose che hai tradotto. Vorrei sapere come hai vissuto, si è evoluta e vivi l’eterna questione del rapporto inevitabilmente fedifrago del traduttore con l’opera.

Come traduttore, mi sono reso conto presto che tentare di rendere fedelmente tutto ciò che un autore scriveva risultava in un tradimento maggiore. Frasi troppo lunghe o giri di parole complessi, che nello sforzo di essere fedeli appesantivano la lettura, rendevano un cattivo servizio all’autore. Così dopo un po’, seguendo nel mio piccolo l’idea che della traduzione aveva il grande Salvatore Quasimodo, ho deciso di prendermi la responsabilità di interpretare la “voce” degli scrittori che traduco, il loro stile, anche a costo di una minore fedeltà al testo originale. Il tradimento resta, ma il risultato finale è più soddisfacente.

Per il viaggiator viandante. Per scrivere questo libro dei due mondi hai viaggiato molto (per questo mondo e quell’altro). Ora che gironzoli per presentarcelo, cosa ti piace e/o non ti piace dei viaggi? Cosa ti porti dietro, per sentirti a casa? Cosa cerchi di riportare a casa?

Ora che viaggio solo per le presentazioni dei libri, faccio la valigia con lo stesso spirito di quando giravo il mondo: mi porto dietro il meno possibile. Per me è il modo migliore per integrarmi subito nel posto in cui vado. Quello che riporto a casa invece non è mai la stessa cosa, varia da un posto all’altro da un pubblico all’altro. Amicizia, calore, il ricordo di una bella cena, di persone interessanti che altrimenti non avrei conosciuto. Viaggiare per promuovere i libri è un lato bello della vita da scrittore, che altrimenti sarebbe troppo solitaria.

Per l’insigne insegnante. Ho letto che tieni dei corsi di scrittura creativa e immagino che il talento non si possa insegnare. Allora cos’è che si può imparare, dello scrivere e del creare?

Quello che si può insegnare, nella scrittura, è la tecnica. Sviluppare i personaggi, scrivere dialoghi efficaci, strutturare le scene, eccetera. Però è vero che il talento bisogna portarlo da casa. Non basta un libro di ricette per diventare uno chef, e non basta un corso di scrittura per diventare un bravo scrittore.

Per il lettore letterato. La banale tentazione di chiedere a uno scrittore cosa legga e quali siano i suoi libri preferiti è sempre molto forte. Tentando di resisterle, vorrei sapere cosa non ti piace o ti irriti nelle cose che leggi.

Le lunghe spiegazioni, anche se necessarie, mi inducono a saltare le pagine. Ma la cosa che mi irrita di più sono i romanzi con un “messaggio”, quelli in cui l’autore elabora una storia con l’intento preciso di dimostrare una sua tesi preconcetta. Per fare questo ci sono i saggi e i libri di filosofia. I romanzi, per me, sono uno specchio del mondo. Guardando in quello specchio, ogni lettore deve poter scoprire quello che preferisce, non quello che vorrebbe lo scrittore.

Per lo scrutator scrittore. Quando scrivi, giochi mai a guardie e ladri con il tuo lettore? Lo posizioni nel tempo e nello spazio? Lo spii tra le righe mentre sorride o s’incazza? Ci pensi mai che lui ti sta cercando dietro alle parole? Ti chiedi mai se lui si chieda quanto pensi che traspaia da ciò che scrivi?
Come vivi quella strana intimità unilaterale che si crea tra chi legge i tuoi libri e il loro autore?

Se pensassi a cosa traspare da quello che scrivo, o a cosa si può leggere dietro le mie parole, credo che mi bloccherei, o verrei risucchiato in un gioco mentale che mi impedirebbe di narrare con abbandono. Quando scrivo, mi sforzo trasportare i lettori nel mondo della storia che ho immaginato, e che inevitabilmente riflette il mio mondo interiore. Questa per me è l’intimità con il lettore, questo esporsi senza rete. È una bella sensazione.