Loriano Macchiavelli ha pubblicato il suo primo romanzo nel 1974. Corrado Ravaioli lo ha intervistato per ripercorrere quarant’anni di intensa vita editoriale.

Il suo personaggio più conosciuto compie proprio nel 2014 i suoi primi quarant’anni di attività, nel senso che il primo romanzo uscì nel 1974.

Lui è Loriano Macchiavelli, uno dei maestri del giallo italiano, e il suo compagno d’avventura su carta è il sergente Antonio Sarti, questurino bolognese, celebre per le sue nevrosi, la colite cronica e il culto del caffè.

Quest’anno, con la ristampa riveduta e corretta di Rapiti si nasce, la serie dedicata all’investigatore celebra i quarant’anni di vita editoriale.

Abbiamo avuto il piacere di fare quattro chiacchiere con lo scrittore emiliano a proposito di questo importante traguardo, della collaborazione con Francesco Guccini, e di un certo Jules Quilcher.

Intervista a Loriano Macchiavelli

Innanzitutto ti aspettavi che il personaggio di Sarti Antonio potesse essere così longevo?

Assolutamente no. Tanto é vero che nella prefazione alla ristampa di Rapiti si nasce, uscito un mese fa, dico proprio che se nel 1974 qualcuno mi avesse detto che dopo così tanti anni avrei scritto ancora nuove avventure dedicate al mio personaggio lo avrei preso per pazzo.

Quarant’anni come Il personaggio di Jules Maigret…

L’età editoriale é la stessa. Io conto di superare questo traguardo con un altro romanzo che scriverò l’anno prossimo.

Che cosa ha affascinato maggiormente il pubblico di Antonio Sarti?

Non me lo sono mai chiesto, in effetti dovrei pensarci. In realtà mi chiedo cosa penso io di questo personaggio, tanto é vero che a un certo punto ho cercato di eliminarlo, senza riuscirci. Nel 1987, nel libro Stop per Sarti Antonio, il protagonista muore (a furor di popolo, grazie a un “miracolo” che solo la letteratura può regalare, tornerà sulla scena quattro anni dopo, ndr).

Perché il tuo personaggio più conosciuto é ancora in vita dopo tanti anni?

Oreste Del Buono diceva che Sarti Antonio era un eroe come lo sono tutti, impegnato a sopravvivere in questa società. Credo che la lotta quotidiana di Sarti Antonio, comune a quella di tutti, é proprio l’elemento che lo ha avvicinato ai lettori.

Il tuo ultimo romanzo, L’ironia della scimmia, prende le mosse da Bologna, location abituale delle tue storie, per andare a l’Aquila. Come mai questa scelta?

Intanto perché Bologna è una città che non riconosco più. Quindi cerco di starne il più lontano possibile. Ho vissuto la mia città nel profondo, fino a quando, a un certo punto mi sono chiesto “cosa ci sto a fare qua”. Bologna aveva preso una direzione che non riconoscevo più. La colpa ovviamente è mia.

Come mai dunque la scelta è ricaduta sulla città abruzzese?

Ho scelto l’Aquila perché questa città circondata dalle montagne mi affascinò alcuni anni fa quando andai in vacanza con la famiglia. Ci sono tornato quattro anni dopo il terremoto. Ho visitato la zona rossa di sera, e ho scoperto una città morta. Era come se fossi a Pompei. E allora ho pensato “bisogna raccontare questa storia”. Purtroppo molti lettori non hanno compreso a pieno il senso della storia parallela che ho raccontato in forma di quadri, quella del rapimento di Mussolini e la sua prigionia sul Gran Sasso.

All’interno dei tuoi romanzi trovano spesso spazio riferimenti a episodi chiave della nostra storia recente, in particolare del periodo della Resistenza. In altri casi, vedi Triangolo con quattro lati o Tango e gli altri, le vicende sono ambientate in quel particolare contesto.

Ho sentito qualche anno fa la necessità di raccontare quel periodo, da una parte perchè era un modo per mantenere viva la memoria storica, dall’altra riconoscevo le potenzialità noir di un periodo così delicato. Tanto è vero che negli anni sono usciti tanti altri romanzi di successo sul tema, come Venti corpi sotto la neve di Giuliano Pasini o La sentenza di Valerio Varesi.

Come è nata invece la felice collaborazione con Guccini?

Ci conoscevamo da tempo ma l’idea di lavorare a quattro mani è venuta un po’ per caso, e forse per questo ha dato buoni frutti. Eravamo a tavola con un comune amico, all’epoca direttore della narrativa Mondadori, quando Francesco mi raccontò la storia di un prete di Pavan trovato ucciso nel 1929, aggiungendo che sarebbe stato uno spunto interessante per un mio romanzo. Il nostro amico suggerì invece di scriverlo insieme a Francesco. Un suggerimento che abbiamo seguito con successo. Il prossimo autunno uscirà una nuova storia di Poiana, la guardia forestale protagonista del nostro ultimo romanzo Malastagione.

Non era scontato che la vostra collaborazione fosse così proficua.

Infatti, ma devo dire che nel nostro caso sta diventando sempre più coesa.

Non tutti sanno che negli anni ’80 hai pubblicato alcuni libri con uno pseudonimo, Jules Quicher, un personaggio costruito ad arte con tanto di biografia ammantata di mistero. Sto parlando in particolare di Funerale dopo Ustica e Strage, due volumi che considero antesignani della corrente che molti anni dopo i Wu Ming hanno definito “new italian epic”.

Alla base c’era un progetto editoriale molto interessante di un editor della Rizzoli. All’epoca era diffuso il luogo comune secondo il quale gli scrittori italiani non sapessero scrivere romanzi di spionaggio. L’idea era questa: pubblichiamo tre libri con uno pseudonimo e se i libri funzionano, facciamo una conferenza stampa per mettere alla berlina tutti i critici che snobbano questo genere in italia. Purtroppo il progetto è riuscito solo in parte perchè cinque giorni dopo l’uscita del secondo capitolo, “Strage”, il libro venne ritirato in seguito alla querela di una persona che si era riconosciuta con uno dei personaggi. Fortunatamente il romanzo, che racconta in forma di docu-fiction la strage di Bologna, è stato ripubblicato da Einaudi e vi consiglio vivamente di recuperarlo, ndr.

E l’ultimo capitolo di questa trilogia sui “misteri d’Italia”?

Lo sto scrivendo adesso.