J.A.S.T è una cosa che non è un libro ma nello stesso tempo è tre libri. Una cosa non facile da spiegare
Titolo: J.A.S.T.
Autore: Lorenza Ghinelli, Daniela Rudoni, Simone Sarasso
Numero di pagine: 142+141+123
Editore: Marsilio
Prezzo: Euro 19.50
Scena 1 – Se pensate che state per leggere una recensione, siete fuori strada
Spinea, Venezia. Alcova Vanin, Mercoledì 2 febbraio 2011.
Carlo Vanin, il recensore. Ore 11.32.
Ironica assolvenza a stella dal nero.
Una camera da letto piuttosto spoglia. Un crocefisso un po’ ingombrante alla parete, una finestra, un armadio/libreria pieno zeppo di Dylan Dog.
A letto, sotto le coperte, Carlo Vanin.
Carlo è sveglio da troppe ore, da quasi un pacchetto fa. La sua vita è un’unica gigantesca giornata, senza equa distribuzione tra notte e dì. Batte i tasti del suo Vaio velocemente mentre fuma una fortuna blu strizzando gli occhi. In casa sua tutto sa di fumo, per questo esclude a priori le donne che non fumano.
Non potrebbe mai portarle in camera.
Già alla porta, comunque, sarebbe un’impresa.
Prima di scrivere la recensione, Carlo scrive le parole che state leggendo ora.
Spegne la sua fortuna in un portacenere di vetro blu fottuto ad un bar di Berlino est. La paglia va a fare compagnia ad innumerevoli altre.
Another nail on my coffin.
Piega le gambe e vi appoggia il portatile. Le sue dita sono ancora più veloci ora. Pensa ad un modo per far scivolare lentamente quello che sta scrivendo in quello che vorrebbe scrivere. Non è semplice.
La camera si sposta. Vediamo il comodino da letto di Carlo Vanin. Vi sono ammassati: citrosodina effervescente Crastan, una bottiglia di tè della coop, un bicchiere blu parecchio grande in cui sicuramente ci starebbe una birra da 33 (e molte volte c’è stata), una sveglia gialla dell’ikea, una bottiglia di vetro piena d’acqua di rubinetto.
E libri.
Tra i libri una cosa che non è un libro ma nello stesso tempo è tre libri. Una cosa non facile da spiegare. Carlo Vanin sa che deve provarci. Che deve buttare giù almeno l’inizio prima di ficcare il pasticcio surgelato nel microonde. Spera che in frigo ci sia ancora una birra. Magari un Aventinus, se Dio è buono.
La cosa che non è un libro ma che è tre libri si chiama J.A.S.T. Sembra il nome di un detersivo ma è un acronimo inglese e significa Just Another Spy Tale. Carlo Vanin ha finito da circa una ventina di minuti di leggere J.A.S.T. e adesso comprende il sarcasmo nel titolo.
Solo un’altra storia di spie. Mica tanto.
In J.A.S.T. di ordinario c’è ben poco. A partire da quello che qualche designer fighetto chiamerebbe packaging. Che significa imballaggio più o meno. J.A.S.T. è una trinità. Tre libri. Tre libri per tre autori. Un’unica storia. Solo che i libri non si chiamano libri ma Disc, dischi, e sono contenuti, imballati, in un contenitore in cui, oltre al titolo, si nota la scritta Complete Season One.
I see what you’re doing here.
Scena 2 – Enter Doctor V
Spinea, Venezia. Studio Vanin.
Carlo Vanin, wannabe youtube reviewer.
Assolvenza dal nero. Sullo schermo vediamo apparire macchie di Rorschach bianco latte che danzano. La cadenza del basso introduce la sigla del Doctor Who. Orbital remix por supuesto. Solo che al posto del viso del buon dottore, sullo schermo appare il viso di Carlo Vanin che sorride compiaciuto.
Appare un titolo: Doctor V. Dissolvenza sullo studio Vanin. Sedia vuota e una libreria strabordante di libri.
Un effetto teletrasporto che sembra essere stato realizzato da un tecnico di Telebelluno fa apparire Carlo Vanin sulla sedia, in tuta e barba di qualche giorno. Sotto la tuta, se guardiamo bene, Carlo indossa ancora il pigiama.
Il Doctor V non si disturba a salutare. Comincia subito la sua recensione.
‘twas ‘bout time.
“Oggi vi volevo parlare di J.A.S.T. Ecco come vi arriva (mostra un cofanetto cartaceo in cui sono contenuti tre libretti, estrae uno dei libretti lo sfoglia). Sono tre libri di, aspettate che me lo sono scritto da qualche parte… 142, 141, 123 pagine. In tutto fa… bé fate voi i conti che sono un umanista, ammesso che ‘sta parola abbia ancora un senso. Tre libri per tre autori ma non fatevi trarre in inganno, non è che ogni autore abbia scritto un libro, anzi: questo bel threesome (ammicca) composto da Simone Sarasso, Lorenza Ghinelli e Daniele Rudoni ha avuto il coraggio di scrivere UN capitolo, anzi: UN episodio a testa.
Coraggio è una parola che si adatta molto a J.A.S.T., ma magari l’avete capito. Sapete quante volte ho sentito dire “il libro rivelazione”o “La sorpresa editoriale”, addirittura “il libro che ha cambiato il genere X”. Bé, ascoltate un idiota, J.A.S.T. lo fa veramente. Cambia veramente le carte in tavola. Sinceramente non pensavo che avrei mai visto una cosa del genere, kudos alla Marsilio che dimostra che ci sono ancora case editrici che hanno le palle di provare qualcosa di nuovo”.
“J.A.S.T., lo leggete qui, è l’acronimo di Just Another Spy Tale. Solo un’altra storia di spie. E’ piuttosto sarcastico perché di ordinario qui dentro (batte il dito sul cofanetto) c’è ben poco. Il formato è strano, l’impostazione è strana, la scrittura è strana. Ma a questo ci arriviamo. Cominciamo a parlare della storia che vi vedo laggiù che state pensando: sì, vabbè ma di cosa parla ‘sto J.A.S.T.?”
“E’ solo un’altra storia di spie (rimane in silenzio guardando la telecamera come dire: ecco tutto. Dopo un po’ si sente provenire da fuori campo un booh colossale). Va bene, va bene. Vi dico di più. Il territorio è senz’altro quello della spy-story ma i tre moschettieri di Jast non si sono risparmiati a testosterone neppure per la trama, e mi scusi la ragazza del gruppo. Qui dentro (batte ancora l’indice sul cofanetto) c’è un po’ tutto. C’è Ustica, Moro, Bologna, la guerra dei tre giorni, l’11 settembre. C’è Osama bin, Gheddafi, il Vaticano, la Cia, il Mossad, i russi, i cinesi. Insomma, c’è la merdosa epoca contemporanea al completo. Non mostrata o spiegata ma vissuta e funzionale alla trama. Una cosa così dovevo ancora vederla. In realtà forse dovrei parlare di fantapolitica o fantathriller perché i tre di J.A.S.T. spiegano tutto. Qui (prende in mano un libretto della serie) ci sono risposte a molte domande”.
“Oh… oddio. So cosa state pensando. Quindi lo dico chiaro e tondo: sono le loro risposte. Le risposte di quei tre. Forse non corrispondono alle mie o alle vostre e sicuramente vanno interpretate in un contesto fictionale. (guarda alla sua destra) Ma esiste la parola fictionale? Siamo sicuri che non faccio brutta figura? Bé, insomma, in J.A.S.T. c’è un tentativo, e ancora devo dire che è un bel tentativo cazzuto, di dare un senso a ciò che senso non ne ha, e con “ciò” intendo questi ultimi decenni della nostra epoca fatti tutti di TV, kalashnikov, bombe e società farmaceutiche. Oh, segnatevi queste quattro parole perché saranno temi ricorrenti in J.A.S.T.”
“Non siete ancora curiosi? Non avete ancora mosso quel culo flaccido per andare in libreria? Potete ordinarlo anche in internet visto che se mi state guardando allora son sicuro che ce l’avete. Se non vi ho ancora convinto parliamo un po’ dello stile. Ma prima facciamo una pausa che vedo se torrent ha finito di scaricare la colonna sonora dell’ultimo Tron.”
Dissolvenza in nero.
Scena 3 – A heap of broken images
Spinea, Venezia. Studio Vanin.
Doctor V., wannabe youtube reviewer.
Ironica assolvenza a stella dal nero su Carlo Vanin, ancora davanti a noi. Ancora in tuta e barbone. Non ha più il pigiama sotto la tuta ma una camicia. Ha i capelli bagnati, probabilmente si è appena fatto una doccia.
“(legge dal disco uno di J.A.S.T.) Se pensate d’aver comprato un romanzo, siete fuori strada. Questa è una serie tv. Così scrive Simone Sarasso nell’introduzione di J.A.S.T. Dovrebbe stare attento a dire certe cose, lì fuori c’è gente che potrebbe benissimo cercare di mettere uno dei tre libretti nel lettore dvd (risate poco convinte).”
“La frase di Sarasso mi è utile per introdurvi il come di J.A.S.T., il modo in cui è scritto. Ancora, ci troviamo di fronte al non convenzionale e di nuovo il titolo dell’opera viene sarcasticamente smentito. Il linguaggio è quello della sceneggiatura, potrei dire, ma non renderei giustizia fino in fondo al lavoro dei tre moschettieri di J.A.S.T. Forse sarebbe meglio dire che il linguaggio prende le mosse da quello della sceneggiatura ma lo porta ad un livello ulteriore, mescolando annotazioni registiche tipo “la camera si muove”, “soggettiva di x” o “dissolvenza in bianco” a una paratassi feroce. Ah… ok. Mettete in stop un attimo e cercate paratassi su google. Fatto? Sì, sì lo so che tu lo sapevi ma gli altri dieci no. Ok. Come dicevo paratassi feroce e frasi spezzate, tutte principali. Descrizioni brevi, dialoghi secchi, realistici. Una prosa impietosa, munita di artigli e zanne, cruda, sanguigna, cruenta”.
“La cosa che stupisce ‘guardando’ (mima il patetico segno delle virgolette con le dita) J.A.S.T. è la perizia degli autori nell’interfacciarsi l’uno con l’altro. Oh, son sicuro che magari qualcuno di voi scribacchia… ma non so se avete mai provato a scrivere qualcosa con qualcun altro. E’ un casino. Ci vuole sintonia, sincronia, sinestesia, sincretismo e simbiosi. Insomma: lavoro e mestiere. Altrimenti il testo che si scrive a due mani diventa una poltiglia disomogenea, come quando cucino io. I tre supereroi di J.A.S.T. invece hanno trovato un equilibrio stilistico invidiabile, in cui raramente spicca la personalità dell’uno o dell’altro, se non nelle particolari expertise culturali. In un epoca di incredibile egocentrismo, mi chiedo come abbiano fatto”.
“Dicendo questo, abbiamo solo appena scalfito il come di questi bei libretti. Parliamo un po’ di struttura. E’ un argomento immenso e può interessare solo qualche nerd come me quindi tagliamo corto. Sarasso, nell’introduzione di J.A.S.T. chiama come propria auctoritas nientedimeno che Jack Bauer, quel tizio che lavora solo un giorno all’anno, il protagonista di 24. Di nuovo, il riferimento di J.A.S.T. è extraletterario e televisivo. Per quanto riguarda la trama, l’intreccio di spie e servizi segreti, la minaccia capitale al sistema, il riferimento a 24 è il più adatto. Per la struttura, invece, credo che la serie a cui J.A.S.T. guardi sia senza dubbio Lost. Oh, non sono un entusiasta di Lost, magari lo sono stato le prime stagioni ma poi gli sceneggiatori devono aver fumato candeggina perché la trama è saltata per aria.
D’altro canto la struttura di Lost, il meccanismo di continuo rimando tra presente, passato e futuro non era una cosa semplice da gestire. Non è una scusante per il bordello che hanno combinato verso la fine ma diciamo che ci vogliono i cosiddetti per cavalcare la tigre del flashback/forward. Manco a dirlo, la trimurti di J.A.S.T. ci riesce. Dalla trama principale, il main arc, come potrebbe chiamarlo uno sceneggiatore americano, si sviluppano una serie di flashback dedicati al passato dei protagonisti, passato che spesso, se non sempre, s’intreccia indissolubilmente ai fatti più cruenti della storia contemporanea. Più facile a leggerlo che a dirlo, naturalmente… fatto sta che il meccanismo narrativo ad intreccio spezzato qui funziona alla stragrande e, quando arriveremo a “vedere” l’ultimo episodio non saremo né spaesati, né confusi e tutti i fili narrativi tesi si annoderanno agilmente l’uno all’altro come i serpenti attorno a Laocoonte. (Tra sé e sé) Questa me la potevo risparmiare.”
“Ora, aspettate un secondo prima di andare su youporn, fatemi dire ancora un’ultima cosa. Lo so che l’ho tirata troppo lunga ma su J.A.S.T. c’era parecchio da dire. A dir la verità, visto che questa è la mia prima videorecensione non so neppure se mi sono spiegato tanto bene.
Andiamo alla parte che vi interessa: a chi consiglio J.A.S.T.? Lo consiglio principalmente a chi non legge. Ovviamente chi non legge non sarà mai arrivato alla fine di questo filmatino, neppure l’avrà cliccato o cercato. Però son certo che abbiamo tutti quell’amico appassionato di serial televisivi che “non c’ha tempo” per leggere e poi si dà malato al lavoro per farsi la maratona dei Soprano’s. Bé, al prossimo suo compleanno regalategli J.A.S.T., farete del bene a lui, che si renderà conto che la letteratura italiana non è un paese per Moccia e farete del bene anche alla causa comune e cioè la rialfabetizzazione del popolo italiano, solo gli dei sanno quanto ne abbiamo bisogno.
Nondimeno consiglio J.A.S.T. anche all’assiduo lettore di spy-thriller che si è un po’ rotto di Ludlum e compagnia e si lamenta che gli scrittori italiani non hanno un respiro internazionale. Infine lo consiglio a chi cerca qualcosa di nuovo e strano, a chi ama scoprire i pionieri del futuro e a chi vuole divertirsi leggendo un libro che si prende molto sul serio. Scena preferita? Quando nel decimo episodio la voce di Billy Corgan che canta Blue skies bring tears si sovrappone alla ventitreesima Sura del Corano, dedicata ai credenti. Da figliolo della zero generation, non posso che profondermi in un rispettoso inchino (s’inchina, tenendosi la schiena ed emettendo un lamento). Sta cacchio di ernia”.
“Mi sa che ho detto tutto (sbadiglia platealmente). Scusate. (guarda l’ora) Bé, mi sa che vado in centro a bermi due o tre spritz, vediamo se riesco a farmi invitare a cena da qualcuno. Qui Doctor V, passo e chiudo. Beam me up, Scotty”.
Lo stesso effetto scrauso che ha fatto apparire il Doctor V ora lo fa sparire. Di nuovo la telecamera inquadra solo una sedia vuota e una libreria carica di libri.
Dissolvenza in nero.
Titoli e sigla.