Jim Thompson
Una vita passata tra lavori logoranti (e mal pagati) a tracannare white lightning, intrugli giamaicani a base di zenzero e canned heat che spappolano il sistema nervoso fottendo alla grande la capacità di deambulazione (il così detto jake leg dal nome della bevanda). Ah, e non scordiamo le anfetamine… quelle e i problemi con la figura paterna, uno sceriffo corrotto del Texas.
Si lasciò coscientemente morire di fame dopo che una serie di ictus lo avevano colpito, devastandolo. Era il 1977. Jim Thompson, uno dei più sconvolgenti ed imprevedibili autori che gli stati Uniti avevano conosciuto fino ad allora veniva salutato con una cerimonia funebre presso il Westwood Village Mortuary (Los Angeles) il Lunedì dell’angelo, c’erano meno di trenta persone.
Potremmo dire che erano ormai trascorsi alcuni anni dai suoi ultimi lavori di un certo spessore. Potremmo dirlo, ma non ce ne frega un cazzo di dirlo. A noi di Sugarpulp invece interessa ricordare il perché un gigante della letteratura come Stephen King riferendosi a Jim Thompson scrive “[…] non è stato sempre grande, ma al meglio di sé era semplicemente il migliore […] perché non era disposto a fermarsi”.
In tutte le storie raccontate da Jim Thompson, infatti, l’autore va oltre. Non ha paura di addentrarsi negli aspetti più oscuri, nascosti e brutali della mente e dell’agire umano. Non conta che stia mettendo a nudo le dinamiche dell’ipocrisia nei rapporti familiari, il tentativo di abortire da parte di una donna utilizzando un pezzo di legno o l’azione di un criminale violento.
Atto fisico violento o delirio introspettivo non fa differenza. Thompson con disinvolta accuratezza mette sulla pagina l’ossessione per il particolare, anche il più scabroso o dissestato. Questo tipo di approccio alla narrazione portò il regista Stanley Kubrick ad affermare, riferendosi allo scritto di Thompson “L’assassino che è in me”: “[…] la descrizione in prima persona più agghiacciante e credibile di una mente corrotta dal crimine in cui mi sia mai imbattuto […]”.
Jim Thompson, quando narra, deve andare oltre, deve raccontare fino in fondo non può fermarsi, e questo porta il lettore a non poter smettere di leggere. Sempre Stephen King scrive “[…] a rendere i libri di Thompson letteratura è la sua capacità di esaminare, senza esitazioni e nella semioscurità, la mente alienata di quegli uomini che vivono come cellule malate nella società”. Se Émile Zola si avvicinava con il microscopio della letteratura alla realtà, beh, Jim Thompson non ha remore a schiaffare l’aspetto più merdoso dell’esistenza dentro una macchina per i raggi X.
Gran parte della produzione letteraria di Thompson trae spunto dalla produzione pulp-noir in stile “Black Mask”, anche se non si può assimilare Thompson ad autori come Hammet, Chandler, McCoy, Gardner o Cain, senza commettere una qualche forzatura. Non si può certo negare che quegli autori e Thompson non condividessero le stesse ambientazioni narrative o, in parte, che i personaggi narrati non avessero le stesse radici culturali e sociali. Ed è altrettanto vero che Thompson sostenesse come esiste una trama di base per tutta la narrativa e cioè che le cose non devono mai essere quel che sembrano.
Però anche qui Thompson va oltre. Va oltre perché come l’hardboiled prende le mosse dallo schema classico del giallo tradizionale modificandolo, così Thompson parte dall’hardboiled e ne esaspera lo schema fino ad invertirne gli elementi. In Thompson non ci sono stoici investigatori come in Chandler o Hammet, me ce ne sono di squilibrati mentali, i cui dialoghi sono densi di battute contorte e di una prosaicità mai vista prima.
Pensiamo al personaggio del vice sceriffo Lou Ford nel libro “L’assassino che è in me”: è investigatore e colpevole allo stesso tempo. Gli aspetti che caratterizzavano l’hardboiled come la passione e la o il sesso (che raramente c’è nei libri di Thompson e quando c’è il più delle volte viene descritto come qualcosa di doveroso e… quasi fastidioso) tutto viene esasperato e fatto scivolare in un nulla assoluto.
I personaggi stessi, tutto il mondo creato da Thompson prima o poi viene ingoiato dal nulla. Esempio paradigmatico è il personaggio di Charlie “Little” Bigger, il killer tubercolotico di “Notte Selvaggia” questo personaggio alla fine del libro deperisce gradualmente , perdendo prima gli arti poi facci e corpo. Svanisce lentamente fino a che non ne rimane solo la voce, la voce e il buio.
Più sopra si parlava di una inversione degli elementi nello schema narrativo. Come i lettori ben sanno l’archetipo su cui la letteratura poliziesca si basa è mutuato da quello della commedia classica. Quindi: l’impulso negativo che spinge ad un’azione malvagia che rischia di distruggere (o compromettere l’esistenza) dell’individuo o di tutta la comunità. L’azione malvagia spinge tutto e tutti sull’orlo del nulla, del baratro. Fino a che non interviene il Buono di turno a “mondare” la situazione (catturare il colpevole o fermare la catastrofe). Così che tutto possa ritornare a scorrere tranquillamente. Thompson non ci sta. Rompe il circuito. Thompson fa si che il buono non arrivi mai, che l’azione non si mondi. Thompson fa sprofondare tutto nel nulla.
Quindi abbiamo uno scrittore con una certa ossessione per la narrazione degli aspetti dell’agire umano, e l’agire umano che preferisce narrare è quello di uomini corrotti, criminali malvagi e psicopatici di ogni sorta. L’ho detto che è bravo a narrare? Perché Jim Thompson prima di tutto è un gran narratore che ipnotizza il lettore in maniera progressiva e, una volta che ti tiene in pugno, ti racconta una storia che probabilmente non ti saresti mai aspettato. Una storia che forse ti farà pensare “ma come è messo questo?” o ti farà emettere una risatina imbarazzata, ma ti racconta una storia che non puoi smettere di leggere.
Questi sono alcuni degli aspetti per i quali, a nostro avviso, Jim Thompson è un autore che merita di essere conosciuto, o quanto meno ricordato, di tanto in tanto.
Fu opinione di chi conobbe Thompson che egli riuscisse a sopportare le sue ossessioni e i suoi drammi più intimi trasformandoli in letteratura. Nella sua letteratura, intensa e spiazzante, violentemente allucinata talvolta ma sempre potente. Se vi interessa approfondire la storia dello scrittore Jim Thompson vi consiglio la biografia scritta da Roberto polito e pubblicata da ALET dal titolo “Una biografia selvaggia”, per le storie scritte da Thompson ,invece, uno sguardo al catalogo di Fanucci editore sarà, anche questa volta, di sicuro interesse.
Buon Thompson a tutti!