Francesco Ferracin e Claudio Mattia Serafin commentano l’opera e il pensiero del filologo britannico, in occasione dei due anniversari della nascita (1892-2022) e scomparsa (1973-2023)

[SERAFIN ]Prosegue il dialogo con lo scrittore e intellettuale Francesco Ferracin, a seguito del suo recente intervento sulla rivista Formiche (12 marzo 2022). Questa volta, si prende spunto dalla comune passione per l’autore e linguista britannico John Ronald Reuel Tolkien, al fine di commentare il suo operato e il suo pensiero, in questo momento più importanti che mai. Personalmente, leggere Tolkien infonde in me una sorta di energia, o comunque fa sorgere luce e vitalità quando proprio queste ultime, per varie ragioni, sembrano venire meno (sono intervenuto su questo punto anche io recentemente, in un interessante colloquio propostomi dalla direttrice della rivista Un the per due, in data 19 febbraio 2022).

John Ronald Reuel Tolkien, è uno di quei rari fenomeni culturali che riescono a unire il sano gusto della narrazione con trascendenza e spiritualità, che lui ha saputo anche saggiamente celare, all’interno delle sue saghe (su questo punto si tornerà più avanti). Parlare di fantasy sarebbe anche impreciso, per certi versi, dal momento che tutti i suoi archi narrativi sono forse fiabe, ma anche questa definizione appare carente. Fiabe rinforzate? Di certo non realistiche, perché non vi sono degrado e pattume concettuale, come in molte opere fantasy contemporanee. Più che di realismo, si potrebbe parlare di verosimiglianza.

[FERRACIN] Siamo soliti parlare di Tolkien e del suo rapporto con il modernismo, non a caso: ogni tipo di evasione modernista per lui è come fumo negli occhi. Tolkien è uno degli ultimi tradizionalisti della scrittura fantastica, non amava (o detestava) i moderni. Per capire Tolkien, bisogna ragionare sulla fantasia, su cosa sia l’immaginazione, sul diritto di avere un contatto con il cosiddetto mondo elfico. L’elficità per lui è fondamentale. Gli Elfi non possono esistere senza di noi, né noi senza di loro. Noi creiamo nella legge che tali ci ha voluto, e non a caso ogni sua riga è intrisa di cattolicesimo. Con l’avvento di Cristo la trascendenza entra nel mondo.

[SERAFIN] Di nuovo, il ruolo del fantastico, della speculazione creatrice, come colonna portante delle nostre vite.

[FERRACIN] Esatto. Ma se vogliamo essere polemici, si verifica la damnatio memoriae a danno di coloro che credono nel fantastico, che vengono dunque ignorati dai salotti. Tolkien è un filologo, prima di tutto, e uno storico della letteratura. Il mondo della Terra di Mezzo è stato creato da lui a priori (si veda Il silmarillion), e, di conseguenza, Il signore degli anelli si configura come l’ultimo romanzo cavalleresco, tra germanesimo e cristianesimo. Tolkien tralascia Shakespeare, e traduce Beowulf: ecco chi è il nostro Autore. Il lettore borghese che si aspetta di fuggire, tramite il noto escapismo, in realtà in Tolkien trova una vera e propria immersione nella realtà.

Secondo Tolkien, “la fantasia è la forma più elevata di arte” e si configura dunque come un’attività razionale. È la capacità di credere nel trascendente: questo è ciò che voleva far capire ai suoi lettori. Il signore degli anelli è intriso di esoterismo, di cristianesimo medievale. Pensiamo al passaggio di Aragorn nel regno dei morti, oppure al mito cristologico di Frodo, che si fa carico di un fardello immane. Di nuovo il discorso del Male, già svolto nel dialogo su Formiche: non ci sono compromessi con il Male; di qui, il suo odio per il mondo moderno, che lui detestava ferocemente, così come la modernità e il relativo entusiasmo dell’uomo nei confronti di questi temi. Si pensi alla sola comparsa di Saruman, che è anticlimatica, nella Contea. O agli Orchi, Elfi caduti e corrotti dal male puro. Vi sono corruzione e inganno: vi sono in Melkor, come in Lucifero. Egli agisce tramite le parole, le lusinghe, il denaro.

In questo senso, forse l’unico erede moderno di T. è Ende, tra realismo magico e fiabesco. Nel mondo di Fantasia, è il Nulla che divora la stessa fantasia. Gli eroi sono ragazzini, che salvano il contesto fattuale. Ende fu anch’egli vittima della distruzione da parte della critica positivista, che rinveniva nel suo lavoro una fuga dai doveri. Quando il Male in T. non trionfa, lì si verifica la scissione, o la cesura irrimediabile. Gi Elfi iniziano a nutrire il tedium vitae, ambendo dunque a Valinor, come esseri sovrannaturali che devono trovare una meta finale ed eterna. Moriranno alla fine dei tempi, mentre gli esseri umani hanno il prezioso dono della morte.

[SERAFIN] Mi ha sempre colpito e intristito moltissimo il verso finale della nota poesia di Tolkien, quando descrive il ruolo degli Anelli del potere: “Nella terra di Mordor, dove l’ombra cupa scende”. Tale verso viene ripetuto più volte. È l’arrivo non solo dell’ombra nemica, ma anche della morte, al di là di qualsiasi nostro giudizio morale.

[FERRACIN] Precisamente. In questo senso, io consiglio la lettura di tutto ciò che Tolkien ha pubblicato in vita. Bisogna evitare ogni nuovo libro, che va ad allungare ciò che è presente nei Racconti incompiuti. Pensiamo all’aspetto della musicalità teologica: lì è la grandezza di Tolkien, che richiama il neoplatonismo e il mondo creato da Dio.

La creazione è definita come atto musicale: e Melkor è il più grande di tutti… Eppure è tracotante. È come il Lucifero di Milton. E ancora: Numenor. È la fine di Atlantide. Il grande autore, come quello in discorso, è colui il quale è in grado di trovare la sintesi tra le grandi storie di origine dell’umanità e del mito. Tutti noi ne siamo il risultato, e Tolkien per certi versi è vicino a Jung, nel rielaborare archetipi immortali, che attendono tutti noi.

Tolkien si è trovato in un punto d’incontro tra il pensiero progressista e quello tradizionale: parliamo degli anni Venti e Trenta dello scorso secolo, con due visioni del mondo opposte. Lui è l’ultimo letterato intellettuale dell’Ottocento, ma la speranza non muore con lui. In Inghilterra, c’è anche Lewis. Lewis ci ricorda, nel 1939, che è necessario continuare a fare quello che amiamo, in tempo di guerra: studiare, scrivere, approfondire.

La pace, nella storia dell’umanità, è ahinoi un’eccezione, tendiamo a dimenticarlo. Tolkien è stato in guerra in trincea, nella più sanguinosa battaglia della Storia. Il suo approccio con la fantasia è quello descritto in questa intervista, ed è stato l’ultimo a realizzarlo.

È dunque improbabile che nascerà un nuovo Tolkien. Dove si trova oggi un altro professore filologo? Che si dedica per l’intera vita al fantastico? Sarebbe messo alla gogna intellettualmente; non potrebbe nemmeno diventare un accademico. Bisogna tirare i remi in barca e rimanere retroguardisti; non è il tempo di fare proseliti, è casomai il tempo di salvare il salvabile. Come ha fatto Ende.