Jungle Justice, i pensieri in ordine sparso di Giacomo Brunoro sul nuovo fumetto di Lise e Talami pubblicato da Coconino Press.
La prima cosa che mi ha colpito di Jungle Justice è stato l’uso del colore. Chi conosce Lise e Talami infatti sa che il colore nei loro lavori ha sempre un ruolo particolare, sia che ci sia, sia che non ci sia. E questo Jungle Justice è letteralmente un’esplosione di colore.
Colori sparati a manetta, contrasti cromatici forti e inaspettati che fanno risaltare gli equilibri geometrici e le forme esagerate delle tavole di questo fumettazzo.
Dentro a Jungle Justice ritroviamo i tratti distintivi di Lise e Talami, amplificati però da un formato diverso dal solito grazie alla bella edizione di Coconino Press (carta patinata, 168 pagine a colori, formato 15 x 21 cm, brossurato con bandelle).
Riforestami, desertificami, compensami la co2 che espiro, partecipa alla mia assemblea antispecista, infarciscimi i bovini di chimica, diventa la scatola nera dei miei crimini ecologici, controllami il consumo di suolo, ristrutturami col superbonus edilizio, sii il ricettore dei miei ecosistemi in pericolo, macellami nel rispetto del mio benessere animale, trasformami nel tuo ecosistema aziendale…
Un fumetto potente
Ancora una volta volta Lise e Talami ci portano in una realtà distopica, anche se credo che definire distopici i mondi immaginati e disegnati dal dinamico duo patavino sia quantomeno riduttivo. Le visioni e le ossessioni portate su carta da Lise e Talami, infatti, forse sono molto più reali e concrete di quanto potrebbe sembrare a prima vista
Non a caso i loro personaggi seguono sempre schemi di comportamento perfettamente razionali nella loro totale follia. A volte sembra quasi di trovarsi di fronte ai deliranti ragionamenti di Horselover Fat o agli incomprensibili comportamenti dei fratelli Castiglione.
Tutti personaggi che, però, solo apparentemente sono privi di logica, perché in realtà seguono una logica precisa e determinata, soltanto che noi non abbiamo alcun modo di conoscerla.
…finanzia i miei allevamenti intensivi, vegetalizza i miei burger del sabato, ivami al 22% come il latte di mandorla, cementificami, greenbondami, finanzia il mio portfolio verde, triturami come i pulcini maschi, riportami in cima alla catena evolutiva, assemblami come un computer fungino, olobiontami, trasmettimi nel wood wide web, fenotipami estensivamente, sopprimimi come i bufalini neonati…
Lotta all’ultimo Mecha
Al centro della storia raccontata da Lise e Talami c’è una lotta senza quartiere. Tutte le specie viventi si sono coalizzate contro gli esseri umani. Scendono in campo enormi robottoni, giganteschi Mecha dotati di risorse inaspettate e di armi iper letali. L’antropocene sembrerebbe giunto al termine dunque, ma per ora non è dato saperlo. Che poi, detto tra noi, credo sia molto più efficace rappresentare con questa follia visiva il baratro ambientale in cui la nostra specie si è cacciata piuttosto che ripetere slogan vuoti.
Slogan che non troverete dentro a Jungle Justice in primis perché non ce n’è alcun bisogno, e poi perché non avrebbe nessun senso. Gli autori non ci vogliono insegnare nulla, né fanno la lezioncina sull’ambiente tanto cara a chi cavalca mode e trend in maniera più o meno consapevole.
Jungle Justice racconta una storia e lo fa alla grande. Proprio per questo il messaggio arriva in maniera potente e inequivocabile, senza bisogno di retorica.
…ascolta il mio urlo chimico, allevami senza l’uso degli antibiotici (negli ultimi quattro mesi), ginecomastizzami, investimi con il mio superbonus monopattino, ascolta la mia extinction rebellion, greenwashami, estinguimi, diventa la mia transizione ecologica, piantumami, antibioticoresistentizzami, testami cruelty free, eutrofizzami tutte le rive, deforestami, versami come benzina sulla nostra casa in fiamme.