Jungletown Jihad è un hard boiled in salsa tarantiniana, una breve, pazzesco romanzo frutto della straordinaria epica pop caciarona di James Ellroy
Titolo: Jungletown Jihad
Autore: James Ellroy
Editore: Bompiani
Pagine: 127
Prezzo: 13
Una banda di rapinatori arabi che getta il panico nei negozi asiatici di Los Angeles, un’attrice supersexy che si divide tra la pubblicità di cibo per cani ed un progetto su Anne Sexton, uno sbirro con un disturbo ossessivo compulsivo innamorato della suddetta attrice al punto da farla pedinare per sapere sempre dove si trova, uno sceneggiatore/truffatore in trip per i gruppi radicali anni ’70 e tre cadaveri torturati connessi a delle vittime di un serial killer degli anni ’50, il tutto sullo sfondo del sordido giro degli snuff movies…
Questi gli ingredienti principali che James Ellroy mischia in questo breve, pazzesco, romanzo.
A guidarci nell’universo sgangherato e postmoderno dello scrittore americano è il detective Jenson; oltre alla sua venerazione per la diva hollywoodiana (che, a dire il vero, sembra tenerlo sulle spine: in 21 anni si è concessa a lui solo due volte, un po’ pochino) è divorato anche dal ricordo di una ragazza uccisa quarant’anni prima, come se la su a vita non fosse già abbastanza incasinata.
Guidarci per modo di dire, visto che la sua prosa è accidentata ed ostica, con frasi brevi, nessuna subordinata ed un lessico magniloquente che enfatizza con stridore i bassifondi losangelini.
A quattro anni dalle rapine nei minimarket, Jenson sta indagando sulle possibili connessioni tra i criminali (mai trovati) e il terrorismo fondamentalista, sospettando di avere a che fare con una cellula dormiente.
In ogni caso la guerra, che sia santa oppure no, è già scoppiata in città e non abbiamo il tempo di ambientarci che le situazioni esplodono letteralmente sotto i nostri occhi: la Los Angeles descritta da Ellroy è davvero la giungla del titolo, un coacervo meticcio di tensioni, specialmente tra arabi e polizia, che si sputano in faccia un odio reciproco nient’affatto celato.
Il razzismo di Jenson, condiviso dai suoi colleghi, è istintivo, non cerebrale, plasmato con naturalezza dal suo lavoro di sbirro, quasi un poliziotto di frontiera costantemente immerso nelle minacce della piccola e grande criminalità.
Se il detective duro, problematico, poco affabile ma affascinante per il lettore è ormai un classico, la scrittura di Ellroy lo rende così originale da farlo apparire unico.
Nella sua esagerazione, il lessico “pompa” la realtà; anche l’uso continuo del passato remoto (in italiano), scelta grammaticalmente ineccepibile, diventa un propulsore del tono epico pop e caciarone: il risultato di questa operazione sopra le righe è assolutamente coinvolgente.
Certo, questo stile artificioso rende più difficile il legame col protagonista rispetto ad una prosa più canonica, chiara e lineare, ma se si accetta la sfida ci si ritrova immersi in un mondo incredibilmente suggestivo, creato proprio dall’eloquio del protagonista.
La prova che un romanzo non è fatto solo della sua storia, ma anche del linguaggio e dello stile: la tecnica, insomma, influisce eccome sul contenuto.
Nel corso dell’indagine Jenson svelerà gli intrighi dei loschi personaggi che ruotano attorno alla jihad e al mondo profano delle lap dance, grazie anche all’aiuto della sua amata Donna (che, deo gratias, gli concede una terza notte di passione): una femme fatale sui generis, come lo è tutto questo rutilante romanzo, che mixa l’immaginario classico hard boiled con uno stile strillato alla Tarantino.
Come per il regista de Le iene, anche per Jungletown Jihad non bisogna farsi rovinare il divertimento da questioni morali (Tortura! Fascismo poliziesco! Xenofobia!): il gusto è tutto estetico, prendere o lasciare.
Per quanto mi riguarda, non ho dubbi: una lettura che merita, magari da fare tutta in un fiato.
Gli eventi si affastellano convulsi, tra morti ammazzati, sparatorie e scazzottate: il lettore non ha neanche il tempo di fiatare che è già finito il libro, e non può che uscirne divertito ma anche provato e frastornato.
A suggello di questa avventura fuor di sesto, un allucinato finale di vera gloria per Jenson, che sembra coronare tutti i suoi sbilenchi sogni d’amore: che sotto sotto questo zotico, violento repubblicano sia un inguaribile romantico?