L’ultima estate, un racconto inedito di Serena Casagrande per Sugarpulp
Tracklist consigliata:
- Massive Attack – Future Proof
- Tricky – Hell is round the corner
- Aphex Twin – Vordhosbn
- Portishead – The Rip
- Jacinto Canek – Sabbie Mobili
Un giorno mi sveglio e mi accorgo che ho sbagliato tutto nella mia vita. L’ho sempre saputo in realtà, ma ora l’evidenza è addirittura disarmante. E mi pesa pure. Un po’. Decido dunque di dotarmi di un codice comportamentale per correggere, alleviare difetti ed esaltare pregi affinché – già da oggi − io possa cambiare, in meglio, la mia esistenza. Stilo un elenco di “assoluti divieti”. Mi sembra sensato partire da qui, anche perché trovo molto più difficile, in questo misero mondo, redigere la lista delle “attività costruttive”.
Per cominciare:
- non recriminare;
- non rimuginare;
- non sentirsi in colpa (“Può ripetere, prego?”);
- non vivere sempre come se entro sera dovesse finire il mondo;
- non fumare troppo;
- non bere troppo;
- non drogarsi troppo;
- non arrabbiarsi troppo.
Capisco subito che, almeno nel breve periodo, sarà già abbastanza se riuscirò a migliorare i miei atteggiamenti negativi; rimando quindi a data da destinarsi la fase due, vale a dire quella del potenziamento delle mie qualità.
La sera stendo un bilancio impietoso della giornata: realizzo che non ho rispettato nessuno dei miei propositi. Così, dato che è mercoledì, preferisco rinviare l’operazione di restyling alla settimana successiva. Soluzione più rigorosa dal punto di vista logico, oltre che terribilmente stimolante. Insomma, me la racconto bene, non male (uh uh) l’idea di far coincidere l’inizio della mia nuova vita con quello della settimana, con tutte le implicazioni psicologiche del caso… Che input formidabile!
Siamo a metà mese, me ne rendo conto dopo qualche giorno: ecco perché non ho ancora prodotto risultati positivi. La mia mente è proiettata verso la conclusione di un ciclo e non è affatto predisposta alle innovazioni. Si sente inadeguata.
Senza indugi mi impegno a intraprendere il faticoso cammino che conduce alla redenzione a partire dal prossimo mese. Ma agosto non è certo l’ideale per (pre)disporsi alla catarsi, senza contare che sono già trascorsi tre quarti dell’anno.
Settembre è da scartare. Il ritorno al lavoro, la fine dell’estate e delle vacanze (per le prossime si va ad Ognissanti), la temperatura che cambia, le giornate che si accorciano. Il sistema nervoso – almeno il mio − ha problematiche a sufficienza da affrontare. Non mi pare proprio il caso di aggiungerne altre.
Allora il quattordici di agosto, in partenza per le vacanze, decreto che il Duemilaotto sarà l’anno della svolta. Mi approvo all’unanimità e mi faccio l’ultima riga, poi siedo sotto il portico di casa mia a fumare una canna, giusto per correggere il tiro, mentre aspetto che passi Dario per portarmi al mare.
Dario lo conosco da sempre, ha condiviso tutte le mie non-scelte, due vite-fotocopia; solo che lui, nei momenti cruciali, è stato più coglione di me. Non so come giustificarlo altrimenti. Così ora si ritrova con moglie, tre figli e un’esistenza di merda.
Io, solo un’esistenza di merda.
La moglie di Dario è una bella donna e pure simpatica; con lei ti puoi fare le tue canne e anche qualche righetta, ma una, al massimo due, sennò le si alza la pressione minima, mi raccomanda sempre prima di iniziare.
E’ che lui non ama più lei e lei non ama più lui. Hanno tre figli violenti quanto uno snuff movie coreano e non abbastanza soldi per separarsi, e che ognuno si faccia gli affari propri e non se ne parli più.
Ogni tanto le tre bestie di Satana vengono smistate tra i nonni, una a testa per evitare premature dipartite. Il più piccolo dalla nonna paterna, il secondo dal nonno paterno e nuova consorte, il maggiore dalla nonna materna. Il nonno materno è morto ed è forse quello che sta meglio. O, perlomeno, quello che gli altri invidiano per una quindicina di giorni all’anno.
La moglie di Dario parte per Ibiza con le sue amiche “singlesss con tre esse” a scoparsi ventenni nordici impasticcati; e lui non ha di meglio da fare che venire in vacanza con me.
Destinazione: Jesolo Lido.
Arriviamo in spiaggia all’una, cerchiamo subito un chiosco e cominciamo a bere spritz. Sfilano ragazze in bikini, mamme in bikini, zie in bikini, nonne in bikini. Commentiamo e all’inizio ci fanno tutte cagare, tranne qualche adolescente alemanna; dopo i primi dieci spritz, inseriamo in classifica qualche mamma e zia. Quando, tre ore più tardi, ci alziamo per passare in hotel a depositare gli zaini, non poche nonne hanno superato le preselezioni per Miss Universo. Dario non capisce decisamente più un cazzo.
Ci danno la stanza numero centotrentasette, non appena entrati ci buttiamo sul letto mentre svuotiamo il frigo bar − poca roba, tre bottiglie di birra e due mignon di Jack Daniel’s ; poi doccia, scendiamo alla reception, molliamo le chiavi e chiediamo il biglietto con indirizzo e telefono, che stasera altrimenti figurati se lo ritroviamo l’hotel.
Usciamo. Di nuovo in spiaggia, altro chiosco, altri spritz. Fino alle sette. E’ l’ora dell’aperitivo. Andiamo alla Terrazza Mare. Pieno di gente. Tutti con lo spritz. E’ l’ora giusta. Continuiamo a bere, non so più cosa a dir la verità. Dario vuole mangiare il pesce a Cortellazzo. Gli chiedo se sta scherzando, attraversare tutta Jesolo a Ferragosto… Lo porto a Treporti invece, conosco una bella locanda.
Non abbiamo molta fame. Avanziamo un intero vassoio di scampi. Ma beviamo vino vino vino bianco. A caso. Pinot Grigio, Prosecco, Cartizze, Müller Thurgau, Gewürztraminer. Roba da far vomitare un sommelier dilettante. Un miscuglio immondo.
Siamo al caffé. Caffé con la Storica. Una, due, tre, quattro.
E’ solo mezzanotte. Prestissimo: non c’è nessuno nei locali. Torniamo in hotel (provvidenziale già a quest’ora il biglietto da visita), ci facciamo un paio di righe, fumiamo il resto. “Poi non ti preoccupare”, mi rassicura Dario, “la trovo io per dopo, non ti preoccupare che più tardi sento un mio amico, non restiamo, no, senza per dopo”. Andiamo avanti un po’ a discutere. I soliti discorsi paranoici da consumatori di coca.
Sono le tre quando arriviamo in disco, compro quattro pastiglie all’ingresso da un baby pusher. Entro, ballo e non capisco più niente. Mi piace sta musica. Non vedo più Dario. Non mi importa. Ho perso il cellulare. Ho perso i soldi. Un tipo, che sostiene di conoscermi, mi porta fuori. Fumiamo una canna. Recupero Dario. “Era ora”, mi dice. Sono le sei. Si va. Bene, ora sto bene, mi pare. Cerchiamo un baretto aperto per la colazione; in pieno delirio alcolico ci fermiamo prima in hotel per vedere se è rimasto qualcosa, giusto per farci una sigaretta, ma non ce n’è più. Chiaramente. Allora Dario comincia a dar fuori di matto. Io cerco di calmarlo, però niente, è come impazzito. Non trovo che un sistema per farlo star zitto. Lo bacio. E poi scopiamo.
“Dormi?”
“Anche sì”.
“Caffé?”
“Lasciami in pace altri cinque minuti”.
“Ma lo vuoi il caffé?”
“Solo cinque minuti”.
“Senti…”
“Uhm?”
“Lo sai che arrostiremo all’inferno per questo?”
“Buon per te. Hai sempre freddo”.
Inutile scherzarci su. Dario l’ha presa male. Un po’ per la moglie, la quale indubbiamente avrà agito allo stesso modo con un’unica variante: soggetti plurimi e non identificati. “È che”, sostiene, “sono cose che rovinano l’amicizia. Lei comunque si fida di me e di te; e questa è una bastardata. Non è una questione di corna, si tratta di fiducia”. A me, il suo sfogo sembra piuttosto la prosecuzione delle pare da coca della sera prima, tuttavia gli dico che beh… non si deve mica raccontarglielo per forza. Ma lui insiste che non è questo il problema, il vero problema siamo io e lui. Ora le cose cambieranno.
“Facciamo finta di niente con lei, tutto come prima? Guarda che non so se ce la faccio”, continua a ripetermi.
“Parlatene allora, vedrai che sarà comprensiva. Non ti ama più. E poi, scusa tanto, cosa pensi che stia facendo adesso?”
“Non è questo che mi preoccupa principalmente”.
E guarda fisso il muro.
“Ma che cazzo! Si può sapere che hai? Mi sta troppo sulle palle quando fai l’ermetico! Dario… Dario?!”
“Eh…”
“Sei sicuro di non amarla più, lei?”
“…”
“Allora?”
“Sì, sì, ne sono abbastanza sicuro magari sono solo un po’ geloso, ecco. E’ che ho paura”.
“E di che?”
“Di sentirmi attratto da te. Di coinvolgermi”.
“Cheee?! Ascoltami bene, Darietto bello: da quanto ci conosciamo noi, eh? Ti ricordi tutti i nostri discorsi, no? Solo l’amicizia è sacra, il resto conta poco o niente. E noi saremo sempre amici, claro?”
“Sì, ma…”
“Ma niente. Basta con ste paturnie. Stop. OK?”
“…”
“OK?”
“Sì, sì, certo, tutto bene… La sai una cosa?”
“Eh?”
“Ho bisogno di bermi uno spritz”.
“A dir la verità, non farebbe male neanche a me. Andiamo al chiosco qui sotto?”
“Beh, se non ti spiace, preferirei quello più avanti, quello verso piazza Brescia. Lì usano il Select. Mi stecca di più”.
“Lo sai però come va a finire, no? Ne beviamo trenta, ubriachi marci andiamo in cerca di droga scadente, entriamo e ci facciamo buttar fuori pressappoco da tutti i locali del litorale, domani mattina siamo allo stesso chiosco a far colazione con altri spritz e poi magari, dico solo magari, torniamo qui e succede tutto di nuovo”.
“Sì. Potrebbe”.
“Che coglione che sei, però! Mi devo ripetere: da quanti anni ci conosciamo? Venti? Che tu ricordi, io e te siamo mai riusciti a divertirci se non fermandoci giusto un attimo prima di perdere i sensi?”
“No. Mai”.
“Allora sai che “potrebbe” non va nemmeno preso in considerazione. Succederà”.
“Succederà”.
“E niente paranoie? Amici for ever and ever?”
“Sì”.
“Bene bene. Allora si parte per lo spritz-tour”.
Una settimana così.
Stiamo tornando a casa. Dario non parla. Non vedo i suoi occhi coperti da un enorme paio di occhiali da sole. Fuma nervoso una sigaretta dopo l’altra e sfreccia a centosessanta chilometri all’ora lungo la Treviso-Mare. Semivuota alle sei del mattino.
Quello che c’è stato è già dimenticato, finito. Anzi non è mai esistito. Parte di un delirio fagocitato dallo schifo della vita reale. Tutto cancellato dalle preoccupazioni che gli stanno già corrodendo il cervello, ancor prima di tornare alla quotidianità. Mi deve lasciare da Jacko, poi correre all’aeroporto Marco Polo a prendere la moglie, che arriva da Ibiza. “Dato che ci sei”, gli dirà, “portiamo a casa anche loro”. Dario sempre zitto, ma − in spirito − incazzato come una biscia, condurrà le amiche “singlesss con tre esse” della consorte alle rispettive dimore, dispensando sorrisi che loro scambieranno per: “E’ un piacere per me”, ma che in realtà significano: “Chissà quanti nei hai presi in sta vacanza, troia”. Domani recupero figliolanza ed eventuale sepoltura nonni. Lunedì, ladies and gentlemen, arbeiten.
Chissà… magari mi sta invidiando in questo momento. Io non ho legami, obblighi, preoccupazioni, responsabilità. Io non ho niente e nessuno.
Sono libera.
Ma sono sola.