La ballata di Mila, una rilettura di Alberto Spinazzi per Sugarpulp
Con il suo libro d’esordio La ballata di Mila, Matteo Strukul, ha posto le basi per un nuovo romanzo di genere, estremamente colto e denso di citazioni tratte dell’intero mondo del rappresentabile, cinema, fumetti, musica, etc. Così facendo, Strukul supera il concetto stesso di noir, termine di cui si è abusato negli ultimi anni, per arrivare a ciò che lui stesso definisce il “sugarpulp.” Se risultano fin da subito evidenti gli echi delle scomposizioni narrative di Tarantino, è presente, a mio avviso, la consapevolezza di un’irreversibile crisi del romanzo di genere. Ed è proprio questa crisi a spingere l’autore a montare, in una appena riconoscibile analogia, diverse allusioni e citazioni, che presuppongono un lettore preparato, che sappia leggere tra le righe della trama e di un linguaggio volutamente semplificato. In un Veneto roso dalle lotte intestine tra una banda di criminali locali capeggiati da Rossano Pagnan e i cinesi delle Triadi, ormai completamente dispersi con il loro traffici nel territorio, guidati dal vecchio Guo, si snoda la vicenda di Mila Zago, una feroce ragazza guerriera.
Dopo la sua violenta e tempestiva apparizione all’inizio del romanzo, viene chiarito il suo ruolo. Mila, figlia di un poliziotto ucciso diversi anni prima davanti ai suoi occhi su ordine di Pagnan, dopo il delitto viene rapita e stuprata da tutti i membri della banda. Lei ne riconosce uno e cerca di fare condannare anche il mandante dell’omicidio. A causa della corruzione dilagante negli ambienti giudiziari, Pagnan sarà però assolto. Da allora Mila, studentessa di legge, smette di credere nel concetto di diritto e inizia una preparazione atletica che la porterà ad avere un fisico perfetto e a essere una grande conoscitrice delle arti marziali e delle armi. Una volta arrivato il momento della vendetta, Mila finge di mediare fra le due bande rivali, e, così facendo, li spinge l’uno contro l’altro. La trama del romanzo si snoda attraverso l’alternanza della lettura del diario che Mila prepara per il pubblico ministero che si occuperà degli eventi, e i capitoli nei quali la protagonista, in una quasi totale unità di tempo (poco più di un giorno) decapita cinesi, incontra Pagnan e Guo, scatena rappresaglie violentissime fino a condurre le due bande a uno scontro finale, ambientato a Badia Polesine, che riecheggia il Sergio Leone di Per un pugno di dollari (o meglio il Kurosawa della Sfida del samurai). Finalmente sua vendetta è compiuta.
Il romanzo si chiude con la adesione di Mila a una società segreta di bounty hunters, e l’assicurazione al lettore che ci saranno altre avventure, a riprova dell’intenzione fumettistica della storia. Mila Zago raccoglie in sé tutti i topos dell’eroina degli ultimi vent’anni, è bella, atletica, spietata, vendicativa come la “madre” di Kill Bill, ma anche come la Lara Croft di Tomb Raider. La creazione di un personaggio ormai non può più prescindere dal rapporto metaforico con ogni possibile fonte rappresentativa del proprio tempo, che sia un gioco per computer o un film. La stessa Mila è completamente immersa nella tecnologia, e risulta quanto mai interessante il contrasto che si crea con un territorio veneto per certi aspetti ancora “vergine”. Forse Mila ci vuole proprio parlare della possibilità di questa convivenza alla pari con la totale autorevolezza nel maneggiare i beni più di consumo come le borse Nike, le armi più moderne e le telecamere innestate nelle lenti dei suoi occhiali.
Di ogni prodotto che Mila usa viene fornita una precisa descrizione e una marca, ed è difficile non scorgere in questa attenta digressione sulla società dei consumi un’altra citazione, dal Bret Easton Eliss di American Psycho. Molti riferimenti vengono accreditati allo stile di Strukul, per il suo modo di rappresentare una violenza quasi disegnata, dal cinema di Samuel Peckinpah a quello di Quentin Tarantino e Robert Rodriguez. Se il primo regista è considerato in maniera forse un po’ eccessiva il padre del “pulp” gli altri due hanno portato a compimento negli anni Novanta il processo di designificazione ironica della violenza e il debito verso il fumetto, come dimostrano Le iene, Pulp Fiction, Dal tramonto all’alba, Sin City. I capiscuola rimangono Joe Landsale, Elmore Leonard, Victor Gischler.