La Belva incorona Francesca Bertuzzi regina nera della crime fiction italiana

La BelvaTitolo: La Belva
Autore: Francesca Bertuzzi
Editore: Newton & Compton
PP: 372
Prezzo: euro 7.90

In faccia a tutti quelli che continuano a dire che la crime fiction – noir e pulp compresi – non è genere femminili, Francesca Bertuzzi sfodera La Belva come una lama scintillante, un thriller mozzafiato: giusto per far capire che lei è una di quelle che parte sempre all’attacco e che, insieme a Marilù Oliva e Lorenza Ghinelli, fra le altre, è una delle autrici, e autori, più ricca di talento e grinta, in grado di unire alla qualità i risultati se è vero che il suo primo lavoro – Il Carnefice – ha sparato 100.000 copie vendute… e meno male che siamo in crisi.

Perché poi, diciamocelo, dietro la crisi nascondiamo le colpe di un’industria – quella editoriale – sempre uguale a se stessa, mai pronta a rischiare, terrorizzata al solo pensiero di osare qualcosa di nuovo e diverso, arroccata su ridicole pretese autoriali tutte da dimostrare, con l’atavico difetto di disprezzare ciò che è pop.

E non si tratta di educare i lettori, qui a Sugarpulp rifuggiamo quest’idea come la peste, ma di proporre – questo sì – un modo diverso e nuovo, di fare intrattenimento intelligente.

E La belva pop lo è eccome, sfrontato e sorprendente si rivela fin da subito per quello che è: il miglior lavoro dell’autrice romana che pure con l’esordio aveva consegnato un autentico pezzo di bravura mescolando pulp, gore, action a go go, in pieno Lansdale style, memore della lezione di quello che è forse il suo padre putativo o – perlomeno – autore di riferimento.

Fatto sta che, ne La Belva, c’è veramente di tutto: a partire da un’atmosfera fiabesca bordata di tragedia e tensione, con quel senso di paura incombente che si respirava in certi lavori di Sua Maestà Stephen King – fra tutti cito perlomeno “Stand By Me” e “Cujo” – ed è forse a questi due romanzi che Francesca sembra voler strizzare l’occhio, senza per questo risultare in alcun modo derivativa.

Capace di miscelare in modo intelligente sorprendenti fiammate gore a sequenze di rara dolcezza narrativa, come quando le quattro protagoniste – Valentina, Livia, Rebecca e Stella – si trovano sul ruscello a condurre la gara delle pigne per imbattersi, al termine, in un cadavere letteralmente sbranato e affogato nel sangue; intelligente nel tratteggiare i caratteri delle ragazzine avendo cura di approfondirne motivazioni e qualità; attenta e sensibile nel rendere gradualmente il passaggio dall’adolescenza all’età adulta; Francesca Bertuzzi firma un romanzo che non manca di essere commovente e delicato ma anche robusto e carico di colpi di scena.

Mai così sugar potremmo dire – l’intera storia gira fra Domegge, Pieve di Cadore e più in generale i boschi bellunesi – con una natura protagonista assoluta della storia insieme all’innocenza perduta, quando i riti di passaggio incidono le mani e spaccano il cuore lasciando ferite che non si rimarginano più ma, anzi, rimangono lì a ricordarti quanto grande è il dolore di crescere nell’arco di un’estate, tuo malgrado.

Sono temi difficili, delicati, da trattare con molta cura e dolcezza e Francesca Bertuzzi ci riesce splendidamente, costruendo in parallelo una trama fitta di indizi, sequenze action mozzafiato – prendano appunti tutti quelli che in Italia continuano ad avvitarsi sulla metafisica del noir o dell’hard-boiled, lasciatela fare a Derek Raymond che è un genio – dosando i ritmi e tenendo incollato il lettore alla pagina, spargendo false piste, illusioni, soluzioni che si riveleranno sempre e comunque parziali o inadeguate, fino alla micidiale stretta finale.

Grande perizia tecnica, quindi, e diciamocelo sennò sembra sempre che la trama e la capacità di tenere alto il ritmo siano un corollario nello scrivere romanzi, e non è affatto così, una voce originale e autorevole nel raccontare, un senso di commozione che attraversa la storia per quegli anni andati e che non tornano più senza però scadere – mai – nel patetico o nell’auto-assolutorio, un cast di personaggi perfettamente centrato, una scrittura che non rinuncia a punte di lirismo quando e dove serve, ma che conserva una dimensione asciutta a tratti addirittura sferzante che non risparmia i graffi e i morsi al cuore.

Per tutte queste ragioni, riteniamo che La Belva non possa mancare nella vostra personale libreria, perché Francesca Bertuzzi consegna il suo romanzo più maturo: forte come la seta, dolce come la panna montata, sincero come un racconto paesano e orgoglioso nel rivendicare un’appartenenza al genere senza smarrire per questo una connotazione autoriale – eh eh vedete l’ho detto anch’io – nel segno di Joe R. Lansdale, Stephen King e Jim Thompson.

Se non lo comprate vi fate solo del male.

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