La corona del potere, la recensione di Linda Talato dell’ultimo romanzo di Matteo Strukul pubblicato da Newton Compton Editori.

La corona del potere di Matteo Strukul, recensione

  • Titolo: La corona del potere
  • Autore: Matteo Strukul
  • Editore: Newton Compton
  • PP: 512

«Ho visto che stai leggendo La Corona del Potere, me lo consiglieresti?»
«Beh, sinceramente, ora come ora… No.»

Prima che i sostenitori di Matteo Strukul – che non sono pochi – mi lancino contro uova marce e verdura avariata, mi spiegherò meglio. Questo dialogo è avvenuto qualche tempo fa tra me e un mio conoscente, lui aveva appena terminato la lettura del suo primo romanzo storico, qualcosa di Follett, credo fosse uno dei romanzi della 20th Century Trilogy.

«Mi è piaciuto, e vorrei leggere ancora storico!» mi ha detto.
Ora, lungi da me dire che il romanzo storico sia un genere di nicchia e solo per pochi adepti (non lo è), ma i romanzi storici non sono tutti uguali – come non sono tutti uguali gli autori – e se avete iniziato da poco ad approcciarvi a questo genere, quello che mi sentirei di consigliarvi io è di partire da qualcosa di diverso; non più leggero, non, banalmente, più mainstream, ma… diverso. Per esempio? Per esempio, sempre per rimanere tra le opere di Matteo Strukul, se siete nuovi alla fiction storica, io inizierei con Una Regina al Potere, uno dei libri della saga dedicata ai Medici, oppure Inquisizione Michelangelo; due romanzi che, peraltro, non ho alcun timore a mettere nella lista dei più belli che io abbia mai letto.

Un romanzo complesso

Per apprezzare La Corona del Potere serve pazienza. La pazienza che sviluppa chi è abituato a un genere letterario tanto amato quanto ricco di sfaccettature come lo storico, appunto. La pazienza di chi, col tempo, ha imparato a fare sue trame complesse, innumerevoli personaggi, lunghe attese, strategie, riflessioni e tutto ciò che, nel bene e nel male, ha contribuito a costruire una parte di noi e del mondo che viviamo.

La pazienza di chi sa che dovrà seguire l’autore mentre si arrampica in quella stessa storia che vi sta raccontando, e può essere una rampicata anche molto lunga e difficoltosa, ma saprete che ne sarà valsa la pena perché Strukul darà tutto sul finale, quando unirà tra loro i punti di tante vite consumate per il potere, per la gloria, per la dinastia, o semplicemente per denaro.

Dopo questa doverosa premessa, sono pronta a fare gli onori di casa, anche se chi mi legge ormai saprà che non mi dilungherò eccessivamente nella descrizione della trama, ma più su ciò che la storia ha suscitato in me come lettore.

La Corona del Potere, il romanzo

La Corona del Potere, edito da Newton Compton, è il secondo romanzo della saga dedicata alle sette dinastie – il primo si intitola proprio Le Sette Dinastie – dove l’autore ha voluto narrare le vicende legate a sette famiglie che hanno segnato la storia d’Italia nel Rinascimento, parliamo dei Visconti – Sforza a Milano, dei Borgia e dei Colonna a Roma, degli Aragonesi a Napoli, dei Condulmer a Venezia, dei Medici a Firenze e degli Estensi a Ferrara.

In entrambi i volumi Strukul fornisce una lista dei personaggi principali suddivisi per casata che risulta molto utile nella lettura. Io personalmente in genere uso poco questo strumento, ma costituisce un’attenzione gradita quando si affrontano romanzi di questa portata, e Strukul si dimostra essere sempre uno scrittore molto attento e sensibile verso i suoi lettori, come si intuisce dall’efficace “nota dell’autore” con cui correda i suoi romanzi e dal modo in cui ama divulgare le conoscenze che ha acquisito approcciandosi direttamente al pubblico, come nel suo ultimo intervento a Chronicae.

Procederò per gradi, cercando di essere il più sintetica possibile, ma su un romanzo come questo le cose da dire sono tante ed è inevitabile che si scatenino riflessioni di vario tipo.

La struttura del testo

Partirò con la struttura del testo. Strukul ha fatto una scelta a mio parere azzeccata per questo genere di storie e che ho visto usare anche da Scurati nel suo M. Il figlio del secolo ovvero capitoli brevi e divisione chiara dei luoghi e dei personaggi, che consentono al lettore di trovare punti di riferimento precisi in un testo che è sì fiction, ma che per alcuni tratti si avvicina quasi al saggio. All’inizio di ogni capitolo, peraltro, c’è anche un riferimento spazio – temporale.

La “rampicata” del lettore – mi piace definirla così perché è proprio questo che sento mentre leggo – risulta infinitamente più agevole rispetto, per esempio, alla Eagles Saga di Scarrow (Eagles of the Empire Series), che ho molto apprezzato ma che, almeno nell’edizione acquistata da me che comprende i primi quattro romanzi, si caratterizza per una scrittura fittissima, continua, e densa di personaggi e avvenimenti da perderci gli occhi (e la testa). Con La Corona del Potere non accade, e questa è senza dubbio una nota positiva che rende il romanzo maggiormente fruibile.

Tuttavia l’impresa è comunque ardua, i personaggi sono tanti, ognuno segue la propria linea di narrazione, e per tutta la prima metà della storia il lettore ha l’impressione che Strukul si perda un po’, che fatichi a raccapezzarsi, che non venga al dunque, e risulta davvero difficile affezionarsi ai personaggi ed entrare nella storia.

Chi conosce già l’autore si ritroverà a pensare “che succede, Matteo?” Per chi non lo conosce, invece, si fa largo il demone più temuto dagli scrittori: quello che porta il lettore ad abbandonare la lettura. Parafraserò il presidente Conte: “dobbiamo dircelo chiaramente, questo rischio c’è”.

Ecco perché sopra parlavo della necessità di sviluppare “pazienza” e “abitudine” a leggere un certo tipo di storie e di romanzi. Se supererete questo scoglio, resterete decisamente soddisfatti perché, come dicevo sopra, Strukul darà tutto sul finale. Dopo questa seconda premessa, diamoci alla parte più interessante: i personaggi.

La Corona del Potere, i personaggi del romanzo

Innanzitutto, sebbene abbia trovato questa seconda “puntata” della serie molto diversa dalla prima, ancora una volta mi sento di ribadire un concetto già espresso nell’altra recensione che ho scritto: “non sono un’esperta di storia, ma andando a curiosare su Google ho avuto la conferma di ciò che sospettavo, ovvero che la maggior parte dei personaggi sono realmente esistiti, quelli inventati sono una minoranza.

Sembra una cosa da poco, ma non lo è, non lo è affatto, perché tutto il troncone principale della storia è portato avanti da gente esistita davvero, i personaggi storici non sono semplici comparse che appaiono qua e là a dare verosimiglianza a un’ambientazione storica in cui i protagonisti principali sono inventati, no.

E questo costituisce una difficoltà non da poco per l’autore che si troverà a combattere su due fronti: da un lato dovrà rimanere fedele a ciò che veramente era quel personaggio, perché non potrà certo correre il rischio di essere smentito da chi ne sa più di me, e dall’altro non potrà far fare ai personaggi ciò che vuole, ma sarà costretto ad “accompagnare” il lettore lungo gli snodi di una trama che non è solo fiction, è proprio storia.”

Qui, almeno per me, è inevitabile una riflessione proprio sulle vite di questi “giganti” della storia, spesso lontanissime dal nostro modo di sentire e di agire. Se eri ricco, dovevi sottostare al volere del casato, della dinastia; se eri povero, la tua vita non contava nulla; se eri donna, beh… Lasciamolo dire direttamente alla Lucrezia Borgia di Strukul.

Quello che non riusciva a sopportare era il fatto che a nessuno interessava davvero di lei, o meglio, l’interesse era sempre volto a ritenerla meritevole di attenzioni in quanto bene di proprietà. Lucrezia, in quanto donna, non era considerata capace di aspirazioni, sentimenti, desideri, ambizioni. […] per suo padre e suo fratello lei era solo merce di scambio, pedina di un gioco che avrebbe potuto garantire alleanze più o meno proficue, atte a soddisfare le necessità dei maschi della famiglia Borgia.

I cattivi della storia

Impossibile non fare dei paragoni tra i due “cattivi” per eccellenza della saga (finora): Filippo Maria Visconti e Cesare Borgia.

Così parlavo di Filippo Maria nell’altra recensione: “Filippo Maria Visconti è un “cattivo” fantastico perché è una persona orribile, un malvagio a tutto tondo, e nonostante ne combini di ogni, finisce pure per starti un po’ simpatico.”

Vicino al duca di Milano, il figlio di Papa Borgia risulta un personaggio un po’ meh… Violento, odioso, irritante… Ma non abbastanza da generare emozioni nel cuore del lettore.

Questo almeno fino all’ultima parte. Anche Cesare Borgia, infatti, darà tutto sul finale.

L’uomo che fu tutto e fu niente, fu notte e fu giorno, croce e spada, ma mai, mai gli riuscì d’essere chi davvero voleva”. È sua la splendida riflessione finale che chiude un cerchio: “com’erano caduti in basso i protagonisti delle vicende politiche e militari di qualche anno prima! Ebbe la sensazione di vivere la fine di un’epoca, Lo scacchiere italiano andava modificandosi rapidamente.

In realtà Cesare non è l’unico “cattivo” del La Corona del Potere, anzi, è in buona compagnia con Gianconte Brandolini, lo Scorpione – signore di Valmareno e capitano di ventura al soldo di Venezia, è il personaggio che, sul finale, farà dire proprio ai veneti: “questo sì che el ga capio tutto daea vita” – e l’Impiccato, scherano di Cesare Borgia e personaggio a mio parere immenso tanto nella sua violenza quanto nella profondità.
E proprio su l’Impiccato ci sta tutta una nota di carattere prettamente tecnico.

1504, Battaglia del Polesine. Gli uomini dello Scorpione stanno combattendo contro i ribaldi dell’Impiccato. Siamo a pagina 430 e assistiamo a un grandioso cambio del POV (punto di vista) in corsa. Qualche editor si strapperebbe i capelli, ma io ho trovato l’ ”esperimento” semplicemente fantastico.

Il capitolo apre con il punto di vista dello Scorpione: sta fiutando la sua preda, cerca l’Impiccato. È qui che la telecamera virtuale retta da Strukul stringe gradualmente e, senza che il lettore se ne renda conto subito, passa dalla visuale dello Scorpione – i “campi brulli coperti di ghiaccio e neve” e le “case rade che punteggiavano un paesaggio duro e selvaggio” – a quella dell’Impiccato, che si rifugia “nella casa più grande di quel pulcioso borgo del Polesine”.

Attenzione, non è un cambio di POV improvviso, non disorienta il lettore, non lo costringe a tornare indietro per capire da che parte sta, ma lo trascina lentamente dal paesaggio della battaglia invernale al calore di quella casa, dove il sereno focolare domestico di una famiglia di contadini verrà stravolto dalla presenza di un uomo tanto violento quanto realista.

“La vita di quei tempi era una faccenda per miserabili. Per poter venire apprezzata appieno, doveva essere affrontata senza aspettative di sorta. E così facendo era necessario prendere, anzi strappare, tutto quel che si poteva prima che fosse troppo tardi.”

E un personaggio di tale spessore non poteva che essere destinato a una morte di altrettanta forza emotiva.

“Borgia non contava più nulla, si disse. E così la sua vita, ammesso che avesse mai avuto un valore. Non poteva aspettarsi di essere fatto prigioniero o scambiato. Non aveva denaro, non apparteneva ad alcun casato e non c’era un signore che potesse proteggerlo. Era sempre stato una pedina in un gioco più grande di lui. Un gioco di troni e potere. E il giocatore che lo utilizzava come pezzo sulla scacchiera stava perdendo la partita, E lo stava facendo molto male. […] Se non altro, durante la notte appena passata, se l’era goduta. Più di quanto gli fosse accaduto negli ultimi due anni. Perché continuare? Si domandò. Incrociò le braccia e il fendente successivo andò a segno staccandogli di netto la testa.”

Nessuno spoiler

Nessuno spoiler sul finale. Vi dirò solo che ci sarà un magistrale ritorno sulla scena di un personaggio che il lettore – o almeno io – dava già per spacciato, a marcire nelle segrete di un castello. E invece no!

La Corona del Potere, alla fine, sapete chi la porterà? La Simonetta. «La Simonetta?» Direte voi.
Sì, Simonetta Vespucci, la musa del Botticelli, il grande amore dell’artista, quella che incarnava ogni suo volto femminile.

“Tornò ad ammirare le linee e i colori, i lunghi capelli biondi, la pelle candida e i veli impalpabili delle Tre Grazie. O erano invece le Ore nella loro danza? Ma chiunque fossero, ciascuna di loro era sempre la stessa donna: Simonetta. Gli occhi si posarono sulla corona di fiori che ne cingeva il capo: riconobbe i ranuncoli e poi fiordalisi, papaveri, margherite, viole e gelsomini.”

(Questa, ovviamente, è solo una mia personale interpretazione, una chiave di lettura, come la nota sul cambio del punto di vista sopra, ma l’ho trovata una splendida nota di stile – voluta o meno che fosse – dell’autore.)