La mano di Fatima di Falcone è uno splendido romanzo storico che ci fa conoscere un’epopea affascinante e troppo spesso dimentica.
Titolo: La mano di Fatima
Autore: Ildefonso Falcones
Editore: Longanesi
PP: 911
Prezzo: 13 euro cartaceo, 9.99 ebook
Noi lo conosciamo come Hernando ma anche come ibn Hamid, figlio di un prete delle Alpujarras che gli ha violentato la madre: può sembrare quello che è, un semplice morisco, ma in realtà è molto di più, per i suoi occhi azzurri lo chiamano il Nazareno.
Musulmano più cristiano dei cristiani per poter professare di nascosto la Vera Fede, possiede la spada del Profeta, salva il nobile cristiano don Alfonso e una bambina, la bionda Isabel, dalla prigionia corsara: Hernando è un insieme di contraddizioni, nella sua parabola discendente è mulattiere, domatore di cavalli e infine depositario del Vangelo di Barnaba, il punto di unione tra le due religioni.
E’ nei grandi occhi neri di Fatima «nuda, tatuata di hennè e spalmata di unguenti, ingioiellata, intenta a cercare la posizione più piacevole per entrambi, a contorcersi tra le sue gambe» che Hernando si perde, pronto a sfidare l’autorità del feroce patrigno Brahim pur di contendersela, ma c’è la madre che ne va di mezzo, oggetto di ripicca nella contesa.
La loro frase, «La morte è una lunga attesa», ricorre spesso nelle oltre novecento pagine del romanzo in un crescendo di attesa e disattesa: più di una volta il mondo crolla addosso ai moriscos in quella che è la vera e propria epopea di un popolo sottomesso e costretto a convertirsi. E’ il Siglo de Oro che inizia con la rivolta morisca del 1568, poi domata con crudeltà, e si conclude nelle preghiere all’interno della Cattedrale costruita all’interno della moschea di Cordova: Hernando dedicherà l’ultima parte della sua vita a cercare di conciliare le due differenti fedi nel culto di Maria, madre di Gesù, ammirata e stimata da entrambi i popoli.
«La fame minò molti di loro e alcuni vendettero i figli per procurarsi il cibo con cui mantenere il resto della famiglia», umiliazioni e povertà sono all’ordine del giorno: l’aura poetica che circonda la figura di Fatima, depositaria dell’hamsa, cioè dell’amuleto che dà il titolo al romanzo, sembra riscattare Hernando dalla sua situazione di prostrazione, è per lei che soffre, è per lei che rischia la vita, anche quando la crede morta.
Un percorso da seguire insieme al protagonista, un personaggio che è impossibile non amare: ogni sua scelta è dettata dalle difficoltà del momento ma la sua lealtà, la sua capacità di amare, il suo profondo attaccamento agli ideali e anche la sua carnalità non vengono mai meno. «Dei tremilacinquecento moriscos partiti da Granata ne arrivarono solo tremila. Cinquecento cadaveri erano rimasti su quella macabra strada. Era il 12 novembre 1570».
Quarant’anni dopo avviene la prima espulsione dalla Spagna: «l’Arenal di Siviglia diventò il carcere delle migliaia di umili famiglie moresche che, con i loro bagagli, aspettavano di essere deportate in Berberia». Hernando e la sua famiglia seguono il flusso della Storia e anche noi lettori veniamo a conoscenza di un periodo che nei libri di scuola compare in veste marginale. Omissione della cristianità? Falcones non giudica ma fa riflettere e volge il suo pensiero ai piccoli indifesi e ai vecchi. Quanto è necessario tutto questo?