Silvia Gorgi, inviata speciale di Sugarpulp al Transilvania International Film Fest, ci racconta la Masterclass di Nicholas Cage al TiFF 2019.

Nicholas Cage inizia la sua masterclass sotto una pioggia battente, tanto che proprio nel giorno in cui l’attore statunitense ha ricevuto il Transilvania Trophy gli organizzatori hanno dovuto spostare l’evento che si sarebbe dovuto tenere inizialmente al Plata Unirii Open Air al Centro di Cultura studentesco.

Cage, con la sua voce forte e profonda, ricorda che dove vive, a Las Vegas, nel bel mezzo del deserto, non piove mai, e quindi tutto sommato la pioggia non gli dispiace affatto.

LA CELEBRAZIONE AL TIFF

L’attore americano in apertura ringrazia il Transilvania International Film Festival per il suo pubblico appassionato, e per la sua affascinate terra, che lui conosce, avendo girato qui, un paio di film; tanto che quest’occasione è stata propizia anche per tornare a salutare vecchi amici e per farsi un fantastico hungarian goulash, molto speziato, come piace a lui. Ricorda come al festival sia passato, solo tre anni fa, un mito del cinema orientale, Sion Sono, con cui lui si ritroverà a girare prossimamente, il primo film in lingua inglese del Maestro giapponese, Prisoners of the Ghostland, sperando si faccia, con i Vampires: “the wildest movie i’ve ever made”.

Sabato il TiFF ha consegnato il premio a Cage, omaggiato anche con la proiezione di Face/Off di John Woo e di Mandy, un piccolo horror indipendente belga, nella location molto suggestiva del Castel Banffy, appena fuori Cluj-Napoca, dove probabilmente i vampiri sullo schermo prenderanno forma nella notte transilvana, del resto l’atmosfera è quella giusta.

Il direttore artistico del TiFF, Mihai Chirilov, ricorda come di recente in una recensione sul Guardian, il giornalista avesse paragonato lo stile recitativo di Cage a Bohemian Rapsody, sorride Nicolas, e risponde con una battuta, la prima di molte fatte nel corso dell’ora e mezza dedicata al pubblico: “Amo le canzoni! E in effetti la canzone racchiude talmente tanti cambi emotivi e accelerazioni e rallentamenti da descrivere bene la mia recitazione”, conferma Nicolas.

L’attore si schernisce nel pensare a questa come a una “master” class, in fondo si è sempre sentito uno studente, e crede d’aver spesso mantenuto lo “smile” di uno studente, quella capacità di stupirsi, e la voglia di imparare sempre, senza aver paura di fallire, e di farlo e rifarlo, e di rischiare. Dice di non aver mai pensato alla “carriera”, a “farsi una carriera”, ma ha sempre considerato il suo mestiere come Lavoro.

L’IMPATTO DI UNA FAMIGLIA INGOMBRANTE

Arriva anche una domanda sulla sua famiglia, una famiglia quella dei Coppola, che con il mondo del cinema ha molto a che fare, visto che Nicolas ha deciso di spostare l’attenzione da questa possibile eredità, cambiando il suo cognome. Gli viene chiesto se l’ha mai ritenuto un fardello pesante da portare, ma Cage sottolinea come la sua famiglia, sia sempre stata di pura ispirazione, quando aveva sei anni e vedeva la televisione pensava quanto fosse magico quello che aveva davanti agli occhi e quanto fosse più interessante di quello che succedeva nella sua vita.

“Sono stato molto fortunato!”– ribadisce Nicolas perché nella sua famiglia l’Arte ha sempre avuto un posto privilegiato, è una famiglia d’artisti, la sua, suo padre è professore di letteratura comparata e lui, insieme allo zio e al cugino, ha potuto respirare fin da subito il cinema, vederlo, vedere Fellini quando aveva 6-8 anni, restare affascinato dai film, da quelli dell’espressionismo tedesco, e passare l’estate a vederne accanto a zio e cugino; ma non solo di cinema si è nutrito l’attore americano. E si sente perché la pittura, il teatro, la letteratura entrano nelle sue risposte con una naturalezza che fa capire subito che Nicolas, un mito così pop, è invece infarcito d’Arte nel senso più bello del termine.

Quando è entrato nel mondo di Hollywood, è comunque stato importante in qualche modo affrancarsi da un cognome che poteva etichettarlo, e scegliendo Cage l’attore si è anche aperto a nuove possibilità, all’idea che un regista potesse sceglierlo solo in base a quello che il suo viso, la sua espressività, ispirasse al director.

UNA CARRIERA PAZZESCA

Come in Rumble Fish (Rusty il selvaggio) il suo terzo film, e nella prima serie tv in cui è stato scelto a 17 anni. Da allora Cage ha avuto una carriera di quasi quarant’anni – il divo ne compie 55 – e ha all’attivo più di 100 film, lui non ne tiene il conto, e il suo stile attoriale è divenuto una sorta di vero cult nel mondo del cinema, che lui stesso ha definito in vari modi nel corso del suo percorso professionale: da german expressionism, a western kabuki, a sci-fi sciamanism, del resto Cage è passato dalla comedy all’action thriller, dagli horror agli indie movies, con registi che tutti vorrebbero avere, da Scorsese a Lynch.

Per quanto riguarda il suo stile attoriale Nicolas dice che quando ha fatto parte di certi “silent movies”, film in cui si parla molto poco, e le azioni parlano, ha fatto largo uso delle espressioni, perché “non hai il beneficio della voce, e devi essere naturale”, ma del resto ha sempre fatto parte di una famiglia artistica, che crede che quello che fai lo fai nell’arte, come Monet quando prima si ispirava e poi si metteva a dipingere lasciando sulla tela le sue emozioni, in maniera impressionistica, nello stesso modo succede un po’ con la performance dell’attore; “la naturalezza è uno stile, ma devi restare aperto alle influenze, alle diverse culture”.

Si ritiene molto fortunato anche in relazione a tutti i registi con cui ha avuto l’opportunità di girare: dai Fratelli Cohen di Arizona Junior, allo stesso Coppola con Peggy Sue si è sposata, e poi Alan Parker, Robert Bierman, David Lynch, Brian de Palma, John Woo, Ridley Scott, Oliver Stone, Rob Zombie, Werner Herzog, un elenco impressionante.

Per quello che lui definisce western kabuki, anche se molti ritengono sia a volte in over acting, Cage dice che una performance è come disegnare qualcosa e fornire delle informazioni sulle sensazioni su quello che senti su quello che c’è di organico, qualcosa che definisce anche come super 8 feeling, in omaggio alla Minolta-Zoom8 con cui girava videotape da ragazzino con il fratello.

IL PREMIO OSCAR

Quando gli viene chiesto che sensazione ha provato a ricevere un Oscar, se ritiene d’averlo avuto troppo presto, Cage cita Gary Oldman “Il suono di un applauso non può essere ignorato”, con Leaving Las Vegas quando ha letto lo script ha pensato fosse una storia interessante: “io non ho pensato potesse farmi arrivare a un Oscar, poi è arrivato”.

Alla base di tutto secondo il divo americano c’è l’ispirazione, l’immaginazione, c’è chi ne ha di più o di meno, e quindi arriva la terza definizione quella legata alla parte sciamanica, in fondo ogni attore è un po’ uno sciamano che prende dall’immaginazione e fornisce delle soluzioni per la realtà: “prendi da dentro di te dei ricordi, e li fai diventare altro, anche se da questa forma di trance devi essere in grado di tornare”.

STAR DEL WEB (A SUA INSAPUTA)

Si arriva anche a parlare del suo rapporto con l’alcool e di quello che in rete viene definito “Cage Rage”, i meme di cui in internet è divenuto re, anche se l’attore dei social non si occupa, non ha instagram, non ha facebook, non guarda nulla, e dice “guardate i miei film e sapete dove trovarmi”, e in rete intanto vanno alla grande anche le Cage Marathon, tipo quattordici ore in continuata a vedere i film di Nicolas, con punte di fans altissime: “anch’io sono fan di tanti attori, e registi, e musicisti, in genere con i fans ho un rapporto positivo i miei sono entusiasti, io cerco di essere gentile, non voglio spezzare il cuore a nessuno, c’è una relazione fra attore e fans”; così negli anni Cage è diventato anche un eroe nel mondo degli action movies: “chi l’avrebbe mai detto, ero fan dei film d’avventura, amavo Charles Bronson, che mi sono ritrovato a studiare, e ora sto tornando a sperimentare con gli indie movies, che facevo anche all’inizio, in fondo è un po’ come tornare alle origini, voglio restare in salute e fare cinema finché potrò”.

PASSIONI E RELAX

Ed è attirato anche dal cinema europeo: “ho iniziato con “Time to kill”, tratto dal romanzo storico di Ennio Flaiano, girato da Giuliano Montaldi, conosco il cinema italiano, e ho lavorato due volte a Budapest, sono molto eccitato all’idea di viaggiare, mi apre la mente, e poi ho nuovi progetti come regista, come sceneggiatore ho provato una volta a scrivere ma è stato un disastro”. Vorrebbe lavorare con Christopher Nolan, con Jack Nicholson, con Al Pacino: “il migliore!”.

Fra i suoi libri preferiti ci sono invece: il romanzo di Arancia Meccanica di Anthony Burges, Stranger in a strange land di Robert A. Heinlein, Siddharta, e poi romanzi giapponesi tradotti, e Melville: “voglio tornare a leggere di più, in fondo è un po’ come un film, puoi liberare la tua immaginazione”. Ama restare in famiglia, con suo figlio, guardare cinema russo, a partire da Tarkovskij, ama il food e il wine, insomma “tutto quello che c’è di buono per l’anima!”.