La regola dell’equilibrio di Gianrico Carofiglio è un bel romanzo nonostante alcuni evidenti difetti. Il ritorno dell’avvocato Guerrieri non deluderà i fan
Titolo: La regola dell’equilibrio
Autore: Gianrico Carofiglio
Editore: Einaudi
PP: 280
Prezzo: cartaceo 19,00, ebook 9,00 euro
La regola dell’equilibrio è l’ultimo romanzo di Gianrico Carofiglio, uno dei più attesi perchP di nuovo, dopo tanti anni e tanti libri, ha come protagonista l’avvocato Guido Guerrieri, al quale l’ex magistrato deve l’inizio della sua carriera di scrittore.
È passato del tempo, è cambiato l’editore – non più Sellerio ma Einaudi -, ed è invecchiato anche lui, Guerrieri.
È invecchiato ma ancora bello in forma (e il sacco da boxe appeso in salotto potrebbe testimoniarlo), e pur tuttavia sempre in balia di quei dubbi e quelle esitazioni esistenziali che tanto contribuiscono a dare spessore al personaggio.
Stavolta indossa la toga per difende un giudice dall’accusa forse più grave che possa colpire un magistrato: quella di corruzione, di mercimonio della propria funzione e dei propri poteri.
Il magistrato in questione è a capo di un importante ufficio, e la sua inflessibilità ha sempre dato fastidio a molti, così che l’ombra di quel procedimento a suo carico sembra subito avere il sapore di una specie di vendetta.
Guerrieri, convinto della sua innocenza, si attiva sul fronte giudiziario e investigativo, ma ben presto la vicenda appare molto più ingarbugliata di come si pensasse all’inizio.
Il romanzo si dipana secondo uno schema di discovery, ma non è un legal thriller, così come non lo erano i precedenti con lo stesso protagonista. Pur compravenduti sotto questa etichetta, nascondono un’aspirazione più profonda che lo stesso autore ebbe a confessare durante non so quale intervista: i suoi non vogliono essere né gialli né polizieschi giudiziari, qualunque cosa significhi, ma romanzi di formazione.
È infatti è chiaro che l’intento di Carofiglio è quello di mettere in scena un dramma dove i protagonisti non sono uomini ma concetti, ideali, persino dei ruoli.
È il Sistema, è lo Stato di Diritto, è il Contrasto tra Giustizia e Legge che dominano il racconto, mentre i personaggi sono solo pupazzi che momentaneamente e incidentalmente li interpretano.
Appare credibile? Questo è un po’ il problema. Di avvocati onesti, onesti come è Guerrieri intendo, e dunque non di quelli che semplicemente non rubano, ma in un senso più ampio e più alto, cioè fedeli a un sistema di valori puliti che non tradirebbero mai, è lecito dubitare che esistano.
Lo ribadisce Guerrieri, più e più volte, quando afferma che il compito dell’avvocato è difendere il suo cliente, non cercare la verità, salvo poi prendere altre direzioni per esigenze narrative.
E però: cosa succede quando quella difesa implica ingoiare rospi duri da mandare giù? È qui che le cose si fanno interessanti, è qui che si genera il conflitto; anche in senso letterario.
Guerrieri reagisce come farebbe un Don Chisciotte, e questo ce lo rende irrimediabilmente non reale; e se un personaggio reagisce in maniera non reale a un conflitto reale, ecco che da una risposta che suona falsa, e manda all’aria tutto l’impianto che, pur con intenti nobili, lo scrittore aveva tentato di imbastire.
Questo il difetto principale del libro, che però arriva un po’ dopo, girata l’ultima pagina e riposto il volume nella libreria, a digestione ultimata.
Altri ne saltano agli occhi in maniera più immediata: a livello di struttura, ad esempio, è abbastanza telefonato il climax, e certe digressioni (non tante per fortuna) risultano un po’ fuori contesto, dando al lettore un senso di estraneazione.
Inoltre è a tratti stereotipato, specie nella scelta dei comprimari, e manca di quell’ironia lieve che aveva caratterizzato i primi libri e che ora ritorna stanca, lei stessa si vede non molto convinta.
Eppure? Eppure è un bel libro, e l’ho letto praticamente in un giorno e mezzo.
Carofiglio, come è comprensibile, si trova estremamente a suo agio quando parla della cosa che conosce meglio, ovvero l’universo giudiziario, e ha la capacità di rendere anche i tecnicismi più ostici non solo chiari e conseguenti, ma persino affascinanti.
Come ci riesce? È semplice: sa scrivere, e lo sa fare molto bene. E il fatto che sia ben scritto, persino nei punti in cui più pericolosamente si affaccia sul baratro del luogo comune, riesce non solo a non stancare mai, ma a invogliare il lettore a continuare a voltare pagina e a dispiacersi per l’inevitabile conclusione.
Alla fine della fiera, è questo che chiediamo a uno scrittore.