La Santa di Cosimo Alemà è un film violento in cui non si respira speranza, né vi è redenzione per alcuno
Quattro disperati napoletani si improvvisano criminali e pianificano di rubare la preziosa statua raffigurante Santa Vittoria, la santa patrona di un paesino dell’entroterra leccese. Sono determinati e il piano è semplice: arraffare l’icona all’alba del giorno dopo la festa patronale e scappare con l’auto a mille all’ora.
L’entusiasmo e la fuga, tuttavia, sono subito smorzati dai devoti paesani che, bloccate le uscite del paese, danno inizio ad una furiosa e spietata caccia all’uomo.
Cosimo Alemà, al suo secondo film dopo il bell’horror At the end of the day-Un giorno senza fine, si conferma come regista dal polso fermo e dalle idee chiare e moderne.
Ne La Santa si evocano il western, il noir, il film d’azione; generi che sembrano congeniali ad Alemà. Tra uliveti e muri di pietra a vista, illuminati dalla livida luce dell’inverno pugliese, insolita per l’immaginario collettivo per cui in Puglia splende sempre il sole, in un’atmosfera malata e malsana assistiamo alla messa in scena della violenza tribale, fisica e morale, di un’intera comunità, scagliata contro i malcapitati con la stessa furia ed indifferenza con cui un leone insegue e sbrana una gazzella nella savana.
Fortemente caratterizzato sotto il profilo territoriale, La Santa sembra quasi additare una certa cultura retrograda e brutale che ancora persiste non lontano dalle grandi città, in una (in)consapevole commistione di religiosità e di tutto ciò che ne è l’antitesi. Gli stessi uomini che la sera precedente marciavano in processione innalzando laudi e preci alla santa protettrice, l’indomani mattina imbracciano le doppiette per una battuta di caccia, con tanto di cani e mimetiche, a quattro disgraziati soltanto colpevoli di essersi fregati una statua.
Quello che più colpisce, è che la brutale violenza dei paesani venga perpetrata da uomini e donne dinanzi a ragazzini i quali, invece di esserne spaventati, vi assistono con partecipe interesse. Quello, e null’altro, è il lascito che rimarrà a loro.
Altro aspetto apprezzabile è che, nonostante la connotazione regionalistica sia dei luoghi che dei personaggi principali, La Santa non è una specie di Gomorra o analoghe pellicole che necessitano di sottotitoli per comprenderne i dialoghi: il cast recita (e bene) in italiano, e ciò – secondo me – è più che apprezzabile. Questa cosa “neo-neorealista” dell’integralismo dialettale ha rotto le palle, diciamocelo.
I personaggi sono, inoltre, ben caratterizzati: soprattutto il fratello “scemo” del capo, che fa tenerezza, ed il pregiudicato che dimostra una sensibilità molto maggiore di quanto sembrasse, acquistando ormai troppo tardi la consapevolezza di aver bruciato inutilmente una vita, la sua.
Con un doppio twist finale, un po’ “telefonato” per la verità, La Santa è un film teso e violento, in cui non si respira speranza, né vi è redenzione per alcuno.
L’indifferenza, tra la vita e la morte, è un autobus che passa lentamente di fianco ad un cadavere riverso in mezzo alla strada deserta.
Guarda il trailer de La Santa su Youtube e il film integrale sul sito di Rai Channel