“Mi pizzica.”
“Non me ne frega un cazzo.”
“Ma perché devo metterla?”
“Perché le maschere fanno paura.”
“Ma questa è la Sirenetta!”
“Appunto.”
“Io non me la metto, non ha senso.”
“Tu te la metti eccome, la maschera crea mistero, la gente ha paura dell’ignoto, è una questione di marketing.”
“E per quale cazzo di motivo tu non te la metti?”
Perché io sono già una maschera.”
Alvise sbuffa e si infila la Sirenetta sopra il viso freddo, poi con fare disinvolto si avvicina al vecchio zaino Invicta blu a strisce verdi ed estrae una macchina fotografica.
“Ehi stronzo, quando muoio me la fai una foto? Seduta con gli occhi chiusi, come nel film The Others.”
“Sì e poi ti piscio anche in faccia.”
“Sei disgustoso.”
“Signore e signori: Maria, la sbudellatrice della Giudecca, viene a dire a me, Signor Sirenetto Coscialunga, che sono disgustoso.”
“Il mio sbudellare è espressione artistica, sono la Mondrian del XXI secolo.” Sibila la donna in tonalità radical-chic, espirando il fumo del toscano.
Alvise fa spallucce, si volta verso l’immenso atrio del capannone abbandonato, mette a fuoco e parte con una veloce raffica in formato grezzo. Pem pem pem, orgoglioso del suo nuovo acquisto, pem pem pem, l’ultima missione è andata a gonfie vele e questo è il regalo che Maria gli ha fatto. E ancora pem pem pem, scatti sbilanciati che se ne fottono della regola dei terzi. Li chiamerà Raccolta Impura, già vede le gallerie piene e le fighette aperte. Un’icona del post-decadentismo della società post-moderna, un autore eccentrico e disincantato che racconta con occhi smaliziati l’antropologia veneziana. Mille e mille puttanate pem pem pem da critico d’arte, pagato ufficiosamente per elogiare l’incontrastato genio artistico di un emblematico ribelle senza tempo.
Inquadra, scatta, ed ecco che nella foto compaiono Zio Sante e Tony Cuea.
“Levami quella merda dalla faccia.”
“Sono l’imperatore di celluloide!” Borbotta Alvise accendendo il display per rivedersi le foto.
“Maria!” Urla Sante ancora lontano. “Dove te lo mettiamo questo?”
“Sul coso freddo, tesoro.” Urla Maria dall’altra parte del capannone, aprendo il cassetto della scrivania di metallo ed estraendo un paio di guanti usa e getta.
I tre si avvicinano al lettino operatorio e Maria dà un veloce sguardo alla lista.
“Occhi, cuore, reni.”
Gnanca mal!
Zio Sante fissa la donna mordendosi il labbro. Maria fissa l’uomo puntandogli la pistola sul terzo occhio.
“Cosa avevamo detto di non fare più?”
“Scusa, mi è scivolato…”
“Ripeto, cosa avevamo detto di non fare più?” La pistola premuta già comincia a lasciargli il tatuaggio della canna sulla fronte.
“P-parlare in dialetto…”
“E perché? Me lo sai dire? Lo chiedo a tutti, ce lo ricordiamo?”
Alvise agita la macchina in aria ululando: “Oh oh, qui qui, io io, oh oh!”
“Alvise, mio caro, spieghiamo nuovamente alla classe.”
“Perché è volgare e grezzo!”
“Un bel 10 al nostro amico lì in fondo.”
Sante, irrigidito dal freddo della canna ed inebetito dall’errore fatale, decide che per l’occasione potrebbe piagnucolare un buon quarto d’ora, magari invocando l’infermità mentale, o inventandosi qualche figlio a carico particolarmente molesto e grasso, o magari è colpa della Chiesa, o meglio, della crisi, sì sì la crisi ci piace, la crisi va bene per tutto, la crisi is the new black! Purtroppo quella mattina la giovane Maria si è svegliata con le mestruazioni, si è versata il caffè sui pantaloni e ha perso il traghetto e questo l’ha irrimediabilmente messa nelle condizioni di non avere un briciolo di pietà. E mentre il povero Zio Sante programma lo sguardo migliore per frignare, Tony Cuea porta via il suo cadavere per i piedi, bestemmiando contro il lurido e pesante bastardo.
“Posso fare una foto mentre tagli?”
“No.”
“E allora perché mi hai comprato la macchina?”
“Per levarti dalle palle. Vai, lì alla finestra, vai a fare le foto lì, da qui si vede il Mulino.”
Maria ama lavorare libera, e per questo motivo preferisce svuotare completamente il corpo ed immergere le mani nelle viscere, andando a pescare quello che serve. Tuttavia oggi ha gli ormoni punk-rock, motivo che la induce a far le cose in fretta e sbagliare ripetutamente ogni taglio che Nostro Signore le ha concesso.
“Cuea, sigaro.”
Tony si avvicina e con uno scrupolo degno del miglior assistente alla poltrona, le sfila il sigaro dalle labbra, lancia la cenere a terra e glielo infila nuovamente in bocca.
“Tra quanto arriva il prossimo?”
“Circa dieci minuti.”
“Devo sbrigarmi. Passami quel coso curvo.”
Le indicazioni di Maria sono così approssimative che l’uomo, nel visionare gli attrezzi, avverte uno strano formicolio di pre-morte all’alluce sinistro. L’ultima conclusione che effettivamente vorrebbe per la giornata sarebbe finire vicino a quella palla di lardo con le viscere sparpagliate per tutto il capannone. Tuttavia Tony, essendo buon osservatore e conoscendo a fondo la macellaia della Giudecca, sa che il sigaro è a destra quando Maria ha voglia di incasinare la giornata, ed è a sinistra se Maria prende le medicine regolarmente.
“Questo?”
“Quello.”
Sigaro a sinistra.