Nel tagliuzzare, svuotare, lacerare e immergersi, Tony avverte quel celeberrimo tocco di genio artistico che si manifesta ogniqualvolta Maria si mette all’opera. Il solo occhio, il destro, si agita in continuazione avanti e indietro fagocitando ogni particolare di quel cadavere martoriato, immagazzinandolo scrupolosamente come ricordo, sprigionando la passione e la dedizione per il suo lavoro. L’accattona dei morti, la becchina dell’isola. Raccapricciante, ma son bei soldi. E la coscienza dorme sonni tranquilli.
“Maria, sono qui.”
“Merda. Prendi il materiale e mettilo al fresco. E copri lo stronzo per bene.”
Tony annuisce, la donna prende posto alla scrivania. Osservando l’entrata dei due uomini si rigira il sigaro tra le labbra, succhiando avidamente in celebrazione del ricco bottino della giornata. Dopotutto quel lavoro ha pochi rischi, di solito sono barboni, ragazzini scappati di casa, gente che comunque è pronta a morire. Fare il corriere della droga non è poi tutta questa sicurezza. E decisamente non è una gran morte. Tuttavia, ci sono delle regole morali da seguire. Ad esempio, nell’addormentare la vittima che crede di ricevere un immenso piacere con l’anestesia totale, per non sentire dolore mentre gli vengono infilati 20 ovuli nel culo, Maria suole sempre avvicinarsi all’orecchio e raccontargli la verità. Lo ritiene una sorta di dovere per sé e di diritto per il futuro cadavere. Dopotutto, se la gente non sa che gli ovuli si ingoiano e non si infilano su per il culo, non è di certo colpa sua.
Raccapricciante, ma son bei soldi. E la coscienza dorme sonni tranquilli.
I due uomini sono molto diversi. Il primo è una guardia armata, un uomo fidato. Statuario, rigoroso, poche chiacchiere, prende i soldi e si fa i cazzi suoi, ama la letteratura ottocentesca e scrive per una rivista di moda. Ma soprattutto, si fa i cazzi suoi. Il secondo teme il rumore dei suoi stessi passi, sposta il capo a destra e a sinistra come un cazzo di piccione a San Marco, e trema vistosamente. Dead man walking.
Maria spalanca le labbra e sfodera un immenso sorriso, l’occhio buono stima l’età della vittima. Venticinque, ventisei. Per un impercettibile secondo annusa qualcosa di sbagliato. Ma la carne è carne, e qualcuno dovrà pur lacerarla.
“No go voja de star qua.”
“Prego, prego, non aver paura, non ti mangio mica.”
“No me sento miga ben, mi so tuto.”
“Forza su: accomodati. Come ti chiami?”
“Me ciamo Mario, ma no vojo star qua, no mea sento più.”
“Mario, Mario, mi hai portato le analisi che ti avevo chiesto? Per fare questo lavoro devi essere in salute.”
L’occhio vacuo, le labbra aride, la tremarella, tutto indica una qualche dipendenza. La schiena di Maria si irrigidisce, il sorriso resta impeccabile. Adora il teatro, la gran recitazione. Ad uccidere virilmente son capaci tutti.
“Dai fioi, porteme casa, no dirò gnente, dai forsa, go fredo.”
“Mario, ora calmati, sei tra amici, non li vogliamo un po’ di soldini facili facili?”
Giulio, la guardia armata, ha duecento chili di sguardo ammonitore su di sé. L’occhio buono di Maria, posato come il piombo su un pulcino, lo lacera da dentro. Probabilmente ha fatto una stronzata. Anzi, l’ha fatta sicuramente.
Mario piagnucola, vibra sulla sedia, un paio di tic si manifestano, il tono della voce aumenta. Mario tossisce, si lamenta, agita le ginocchia appuntite e si attorciglia.
Le corde vocali di Alvise si attivano quasi impercettibilmente. Ne esce un suono smorzato simile a un lamento di cane, inutile per lui riuscire a reggere una scena di tensione. I Teletubbies lo hanno mandato all’ospedale. Die Hard stava per ucciderlo. Pessimo lavoro per l’uomo sirenetto.
Tony sta nell’angolo, gioca a ping pong con gli occhi, prima su Maria, poi sul ragazzo, poi ancora su Maria. L’aria si fa pesante, la carotide si stringe. Parte una bestemmia colorita.
“No vojo morir, te prego, no sta farme morir te prego, vojo solo ndar casa.”
In quell’istante a Maria passa davanti tutta la vita. L’accademia delle belle arti, il part-time dal macellaio, il fratello ritardato, i primi lavoretti in nero, Costantino Scarpin che le strappa l’occhio a 19 anni, le sigle dei cartoni animati anni 80, Castle Wolfenstein, il labrador assassino della vicina di casa, il suo primo omicidio. Nell’istante successivo il piede sinistro di Maria è appoggiato alla spalla di Alvise. L’intestino crasso di Tony ricopre la faccia bruciata di Giulio e la mano destra di Giulio fa pluf nel canale vicino. Del povero Mario resta ben poco. Non erano ovuli di eroina nel culo, ma ovuli di c4 nello stomaco.
Qualche decina di metri più in là, i Fratelli Schiavon si abbandonano a un’abbondante risata. Vendetta creativa la loro: ora il cugino Gianmaria può riposare in pace.
Alvise, ancora con la macchina fotografica in mano, zuppo dalla testa ai piedi di sangue, feci e budellame vario, si avvicina carponi al cadavere della sorella. Ne è rimasta solo metà, quella giusta.
Alvise la trascina per le spalle in una zona pulita. Prende due lenzuola dalla sala operatoria improvvisata. Uno lo usa come sfondo, l’altro lo usa per pulire il viso di Maria. Passa le dita congelate tra i capelli, recupera un nuovo sigaro dal cassetto della scrivania e appoggia il busto sul bordo di una colonna.
Pem pem pem. Autentica fotografia post-mortem. Riviste specializzate, mostre internazionali, copertina sul Times. Gnocca.