La sera dopo vado davanti a casa loro, a piedi. L’orribile Golf grigia è parcheggiata proprio davanti a un cassonetto del pattume. Li aspetto, stavolta me li cucino a dovere. Ho portato con me un sacchetto pieno di sabbia per tramortirli. Con me ho portato una scacciacani, perfetta replica di una Beretta che ho preso in prestito, diciamo così, da mio padre.
Eccoli che escono i tre mona. Stanno andando a lavoro, hanno un sacco con dentro il martello e gli altri attrezzi da scasso. Mi avvicino a Neri con la camminata più loffia che riesco a fare e con lo sguardo minaccioso.
“Brutta merda”, dico.
“Oh, oh Agnul, calma”, squittisce lui, alzando le mani per proteggersi il viso. In quel momento si prende un calcio in piena pancia. Sbuffa di dolore, cade a terra. I suoi fratelli fanno la mossa di lanciarsi contro di me armati di piccozza e piede di porco, ma sono più svelto. Tiro fuori la finta Beretta e gliela punto contro.
“Nella vostra macchina, presto. Fosco, tu alla guida, Bruno, tu di fianco a lui. Io e Neri ci mettiamo dietro”. Lo sollevo da terra, si sta lamentando. Me ne importa poco, stavolta passeremo la notte insieme. Fosco accende il motore.
“Vai verso viale Palmanova”, gli ordino. Il cretino risponde con un lamento acuto. Guarda che razza di deficienti volevano fare il mio lavoro, non ci posso credere. Questi fanno parte della categoria dei menomati, ve’. E vogliono mettersi a scavare tombe?
Dopo una ventina di minuti arriviamo a metà del viale. Dico a Fosco di svoltare nello spiazzo di un ex stabilimento per la produzione di bibite ora chiuso e con tutti i lampioni e le luci spente. L’oscurità è totale, ma io ci vedo nella notte come una civetta, dopo tutti gli anni passati a disseppellire corpi con il buio. Gli faccio parcheggiare la macchina dietro l’edificio squadrato. Dappertutto siringhe e goldoni usati. Spero che a nessuno di questi viziosi venga in mente di venire a farsi uno spruzzo o di montarsi una puttana proprio adesso. Deve essere un lavoro fatto alla svelta.